Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Eu-tanasia, caco-tanasia o eubiosia?

Rigorizziamo i termini

L’onestà intellettuale e il rigore nel discorso umano hanno rilevanza morale e valenza simbolica primaria, specialmente quando si tratta di temi complessi concernenti la vita. Se il prefisso greco “eu” utilizzato nel termine “eutanasia” costituisce un semantema che si può tradurre con “buono”, mi piacerebbe sapere con certezza se la morte di Terry Schiavo sia stata connotata proprio dalla nozione di “buono”. Dalle notizie che si hanno pare di no.

Ne segue che la buona linguistica e la buona semantica, le quali come è noto si basano primariamente sulle radici etimologiche dei termini, che in italiano e specialmente nel linguaggio scientifico, si rifanno spesso al greco antico, ci dovrebbero suggerire di togliere il morfema “eu” nel caso di cui sopra, e di sostituirlo con qualcosa d’altro.

Verrebbe subito da dire con il suo opposto “caco”, che, sempre in greco, significa “cattivo”, “malo”. E dunque il neologismo suonerebbe “cacotanasia”, invece che l’ipocrita e stereotipato “eutanasia”.

Si può affermare per contro che il prefisso “eu” andrebbe collegato a “vita”, e dunque suonerebbe così: “eubiosia”, “buona vita”, e ben sapendo che vita è termine “analogo”, non “univoco” o “equivoco”, cosicché, analogamente, può dirsi vita sia quella di Obama o di Beckham sia quella di un batterio, e a maggior ragione rispetto a quella di un batterio, è “vita” una vita umana sofferente o disabile.

Solo per chiarire alcuni punti che non pochi tra gli addetti ai lavori di largo spazio mediatico, parlando senza rigore logico e terminologico, trascurano colpevolmente, ovvero per invincibile ignoranza, anch’essa colpevole. La “buona morte” è non solo, e certamente, cure palliative e rinuncia all’accanimento terapeutico, ma anche e più che una mera anestetizzazione fisica della fine della vita umana, l’esito di una diuturna formazione personale, psicologica e spirituale, sulla nozione di limite, di imperfezione, di creaturalità, nel quale la morte è termine implicito e sempre presente, con cui si fa i conti, ognuno di noi vivendo, fin dall’età di ragione. E resta sempre il tema se l’uomo possa o meno possedere la vita altrui o se su di essa abbia un mandato di custodia, in ogni caso e nei modi che il principio di precauzione suggerisce. Io sono per questa seconda ipotesi, dispiaciuto per il dolore di Beppino Englaro, ma in completo disaccordo con il modo in cui ha gestito la vicenda e con la sua abnorme mediatizzazione.

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