Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Il Sensus culpae come nostalgia di Verità e Libertà dell’io

A volte pare che il freudismo, sulla traccia dell’individualismo filosofico, sia di matrice idealista, sia di origine empirista, abbia liberato l’uomo (occidentale) dal senso di colpa o, come si può anche dire, dal rimorso. Ma non è vero, anche se molti studiosi, ma soprattutto i divulgatori scientifici e gli animatori massmediatici, cercano di avvalorare come una conquista di maturità umana l’avere messo la sordina a quel tormento. Appunto. Forse si tratta di avere solo “silenziato” qualcosa di insopprimibile, sovrastandolo con il frastuono della modernità e con l’imponenza talora arrogante dell'”io attuale”. Ma, come il silenziatore non annulla lo sparo della pistola, che colpisce con un soffio sordo, così il sentimento dello sbaglio fatto, cioè il rimorso, proprio appena si “fa silenzio” nella coscienza, ri-emerge. E non è qualcosa di astratto, bensì è tangibile, lancinante. Qualcosa che può ricordare il senso della scelta compiuta, e i suoi effetti.

Ma oggi si tratta, appunto, di freudismo, cioè di una lezione solo “orecchiata” del grande medico e filosofo viennese, che allora lavorava in un contesto culturale e scientifico positivista.

Perchè allora  nel titolo diciamo che il senso di colpa è una specie di nostalgia di verità e libertà dell’io? Perchè ci sembra che occorra riflettere sulla deriva odierna del senso di responsabilità individuale, che pare affidato a una sorte di negazione progressiva, come fosse sostituito da una incerta e dubitevole responsabilità collettiva.

Prima riflessione: gli psicologi classici (gli stessi Freud e Jung, dunque, e poi più recentemente James Hillman) ci insegnano che i meccanismi psicologici collettivi funzionano in modo del tutto diverso da quelli individuali.

Seconda riflessione: noi sappiamo, non tanto dalla legislazione civica positiva antica e attuale (diritto romano e moderno), quanto da quella naturale (che poi è, per il nostro ceppo culturale biblico – ellenistico, quella dei dieci Comandamenti e delle Beatitudini, e poi dell’etica a Nicomaco di Aristotele, di Seneca e Cicerone), che bisogna fare il bene ed evitare il male. Che fare il bene ed evitare il male è tutto quanto attiene l’esercizio delle virtù morali: la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza, con i loro corollari di attitudini al buon agire (o habitus positivi, come li chiamano Tommaso d’Aquino, Bonaventura e Alberto Magno). E che la responsabilità, sia etica che giuridica, è individuale.

Terza riflessione: la secolarizzazione che ha accompagnato il processo di modernizzazione in occidente ha posto in seconda fila la dimensione, non solo metafisica della realtà, ma anche soprannaturale. In proposito si nota che spesso si fa una gran confusione, anche da parte di intellettuali (come tali reputati da se stessi o da altri). Giusto qualche tempo fa per radio Rai regionale si citava la metafisica, ma con tale espressione intendendo la “soprannatura” connotata dalla fede religiosa. La secolarizzazione ha quindi fatto in parte dimenticare la “dimensione creaturale” dell’uomo, la sua imperfezione, e anche la sua libertà di agire responsabile. Pare che quasi tutto sia diventato oggetto dell’agire collettivo o sociale, e che poco oramai appartenga alla sfera della decisione interiore individuale.

Ma le persone sono sempre più scontente e a volte disperate: proprio adesso che sembra abbiano conquistato l’autonomia da tutto e tutti, anche da un dio (o Dio) creatore. Questo è il punto critico. Per quanto mi riguarda vivo tutta la sofferenza della ricerca della verità su di me, non di una mia verità. E’ per questo che mi pare si possa dire che il senso di colpa per le proprie azioni imperfette o sbagliate, in quanto atto proprio della coscienza morale, aiuta a ricercare la via che porta alla vera realizzazione di sé come progetto (Cf. M. Buber). E quindi tra le azioni è la più libera.

 

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