Tra il complicato e il complesso, la veridicità e l’approssimazione
Chi studia i sistemi “viventi” (da von Bertalannfy ad Alberto F. De Toni) sa spiegare molto bene ciò che si debba intendere per sistema, e per sistema complesso in particolare, specialmente se si tratta di gruppi, di insiemi, sia naturali (Gemeinschaft, come la famiglia, la tribù, etc.), sia artefatti umani (Gesellschaft, come le società economiche, i partiti, le aziende, etc.)
Innanzitutto serve intendersi sulla nozione di sistema: “Joel de Rosnay (1977) spiega: “(…) un sistema complesso è composto da una grande varietà di componenti o di elementi che possiedono delle funzioni specializzate: questi elementi sono organizzati per sistemi gerarchici interni (ad es. nel corpo umano: cellule, organi, sistemi di organi); i diversi livelli e gli elementi individuali sono collegati da una grande varietà di legami. Ne viene fuori una grande densità di interconnessioni. Le interazioni tra gli elementi di un sistema complesso sono di tipo particolare. Esse sono definite non lineari.”
Poi occorre distinguere fra complessità e complicazione: afferma Alberto F. De Toni (Università di Udine – 2005): “Le due caratteristiche fondamentali per descrivere un sistema sono gli elementi e le connessioni. In un sistema complesso gli elementi sono molto numerosi: basti considerare alcuni sistemi come il cervello (1011 – 1012, cioè tra 100 e 1000 miliardi di neuroni), il mondo (1010 di persone, cioè 10 miliardi), il laser (1018 atomi), il fluido (1023 molecole/cmq). Oltre alla numerosità un’altra caratteristica importante degli elementi facenti parte di un sistema complesso è la varietà.”
Precisiamo infine alcuni aspetti etimologico-semantici dei due termini correlati complicato e complesso: complicato (cum plicum) è analitico, spiegato nelle sue pieghe, meccanicistico; complesso (cum plexum) è sintetico-sistemico, intreccio compreso nel suo insieme, organicistico.
Una riflessione conclusiva di questa parte può concernere ciò che si intende per olistico e per autosimilare, e ciò che significano i sintagmi tutto e tutto/totalmente.
Per quanto concerne il concetto di olismo, il significato corrente è correlato a una visione d’insieme della realtà, sotto il profilo della complessità sistemica adattativa, nella quale ogni azioni locale si riflette sul globale, per cui ricordiamo la citazione di G. Bateson “del battito d’ali di una farfalla ai Caraibi che avrebbe effetto nell’Oceano Pacifico”; con il termine autosimilarità, si intende la relazione di somiglianza esistente fra elementi che compongono un sistema (ad es. il sangue che irrora tutto il corpo umano (cfr. con il concetto di analogia di attribuzione: vita/essere vivente); il rapporto esistente fra il termine tutto e il sintagma tutto/totalmente è analogo a al rapporto tra un quadrato (figura piana) e un cubo (figura solida): altrimenti si può dire che il tutto e totalmente comprende il solo tutto e lo rende assoluto. Facciamo un esempio: il numero 10 contiene tutte e totalmente le possibilità che sussistono per formarlo (11 meno 1; 9 più 1; 5 per 2; 20 diviso 2; etc.), mentre invece, ad esempio, l’8+2 è del tutto uguale al numero 10, ma non totalmente, o viceversa).
L’essere umano e le sue azioni sono complesse, non solamente complicate, come un lenzuolo o un paracadute che si piegano e si spiegano. Per questo sorgono sempre molti dubbi quando si leggono semplificazioni assertorie su un qualcosa che è oggettivamente complesso, come la seguente: “Tutte le guerre sono sbagliate salvo la guerra di liberazione ‘44/45”. Che significa? Forse perché ha contribuito insieme con il decisivo contributo degli Anglo – Americani a sconfiggere il fascismo e il nazismo? Sotto il profilo della ragione umanitaria e di un’etica del fine della persona umana, è senz’altro vero. Aggiungerei alla citazione della “guerra di liberazione italiana”, anche “tutte le guerre di liberazione nazionale e popolari” che abbiano avuto un esito evidentemente liberatorio e non diversamente coercitivo per i popoli interessati.
Ma non basta. Il concetto di giusto/sbagliato non è così manicheisticamente esprimibile. Vi sono altri e più precisi plessi semantici che possono rappresentare meglio il voler “dire il bene” di un fatto: opportuno, ragionevole, corretto, necessario, etc.. Infatti, le cose hanno sensi e significati molto più complessi, e i chiaroscuri delle buone e delle cattive intenzioni dei “buoni” sono da ammettere, non fosse altro che per onestà intellettuale. Quanti “neri” sono diventati”rossi” dopo Dongo? Quanti “rossi” non avevano in testa una “patria Italia”? Quanti partigiani sono diventati tali quando tutto era finito o quasi. Vi è una necessità vitale di praticare un’ermeneutica attenta nell’accedere ai fatti e agli eventi, ai linguaggi, ai comportamenti e agli atteggiamenti umani, poiché lo iato naturale esistente fra ciò che si vuol fare o dire e ciò che viene percepito e comunicato è sempre molto vasto e difficile da decifrare.
Fatta salva la buona fede di ognuno, fino a prova contraria, è cosa saggia praticare una certa prudenza nei giudizi che concernono le umane azioni, e soprattutto le intenzioni vere del cuore.
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