C’é una sinistra in Italia?
Chi mi conosce sa che ho sempre faticato, anche in altre stagioni, a militare politicamente. Mi ha sempre disturbato la dicotomia tra “i nostri” e “gli altri”, perché, curioso dell’umano fin da adolescente, spesso mi è capitato di apprezzare di più qualcuno degli “altri” che qualcuno dei “nostri”. La militanza è un modo d’essere che assomiglia al “tenere per una squadra” di calcio: non si vede e comunque non si ammette mai che gli avversari possano giocare bene, e magari meglio della tua squadra. Detto ciò, il tema che propongo è oramai vecchio come il cucco. C’è una sinistra politica in Italia, intesa nel senso delle dottrine politiche classiche, e con tutti i distinguo fatti da un ventennio a questa parte, cioè dalla data/cesura dell’’89? Le domande retoriche servono ad aprire discorsi, non a dare risposte, anche quando le risposte non sono scontate. In questo caso si può rispondere che sì, esiste una sinistra in Italia, ma sparsa, dispersa, a volte inconsapevole, socio-culturale, morale, ipotetica. E non mi riferisco alle èlites intellettuali, più o meno operanti in giro per la Nazione e la Regione, ma a tutti coloro che hanno ancora un’idea e una volontà eticamente fondata sull’uomo, di spostare l’asticella della giustizia e dell’equità sociale un po’ più in alto. Le èlites intellettuali che dominano salotti, redazioni e facoltà universitarie, un po’ spesso vagamente pigri e snobisticamente distaccati, non mi interessano.
Negli anni scorsi la sinistra è riuscita a più riprese a suicidarsi o quasi (vedi cadute dei governi Prodi). Attualmente si configura in un partito, il PD, guidato da un ex democristiano che sarà sostituito presto (credo e spero) da un ex comunista.
Poi c’è un partito-persona comandato con piglio poliziesco da un ex magistrato con grossi problemi espressivi e un plafond culturale approssimativo, per essere eufemistici. La sinistra massimalista, fuori gioco per le regole elettorali, è stata fino all’altrieri guidata da un dandy in età (lascio immaginare chi sia) e da un professore di diritto spesso dimentico di alcuni fondamenti della sua disciplina (idem, lascio immaginare), ma generoso di sorrisi più simili a ghigni.
In regione, che dire, non li conosco, conoscevo i loro predecessori. Li ho visti sulla stampa. Non so cosa valgano, perché dalle dichiarazioni tritamente noiose non si capisce molto.
È una sinistra che ha bisogno dei fenomeni mediatici, e ce ne sono anche qui sulla piazza regionale (per l’amor di Dio), diventando così un pezzo della politica che non si distingue dalle altre parti politiche.
Poi ci sono i temi e problemi che interessano alla gente, alle persone: le prospettive economiche, il lavoro, la sicurezza, la libertà, i valori fondativi della democrazia moderna. Ecco, questi temi sono usciti da tempo dall’agenda della sinistra ufficiale. Anche se ogni tanto si sente qualcuno di questi signori parlarne, ma si tratta sempre di discorsi di rimessa, di risposte a ciò che fa il Governo, a ciò che dice l’Unione Europea o qualche agenzia internazionale di rating.
Un tempo la sinistra si occupava del sociale, si interessava dei lavoratori. Oggi questi interessano solo ai sindacati e alle aziende. Ma i lavoratori e i lavori sono cambiati. I primi non votano più prevalentemente a sinistra e i lavori sono diventati così vari e complessi che sono sfuggiti all’analisi della sinistra. Non era così quando si potevano leggere riviste come la Cattolica Settegiorni, come Rinascita del Pci, come Mondoperaio del Psi.
Oggi la sinistra si muove nei talk show dei Santoro e dei Floris, su Micromega e altro del genere. Ma dalla società vivente e dolente è quasi scomparsa. Non si è riusciti ad accettare un’idea politico-partitica che riprendesse la tradizione socialista democratica, temendone l’obsolescenza o una supposta impresentabilità, barcamendosi tra i veti di Rutelli e i trasformismi dei vecchi diessini, inseguendo i radicali sulle cosiddette “battaglie civili”, e si è arrivati a questo punto, tristemente afasico.
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Vero, ma c’è un’emergenza nazionale, trasversale, morale, costituzionale e istituzionale, in cui non è questione di Destra o di Sinistra, ma di difendere principi fondanti neppure della democrazia, ma addirittura del diritto, conculcati da chi, quotidiniamente confonde pubblico e privato, interessi personali o (nel caso migliore) di parte e funzione istituzionale.
Quell’ex magistrato con grossi problemi espressivi e platfond culturale approssimativo non può certo rappresentare, da solo, un’alternativa, ma almeno tenta di tenere la barra dritta sulla caparbia testimonianza di questa situazione.
Il fatto che ce ne stiamo assuefacendo (dura da quasi quindici anni) come se fosse “normale” non significa che lo sia. Tutti i tentativi di “normalizzare” il conflitto politico, riportandolo ai temi “sociali”, sono falliti soprattutto per la gravità delle continue offese alla cornice costituzionale entro la quale anche quel conflitto si sarebbe dovuto riportare.
Non credo che sia una buona mossa mettere tra parentesi queste questioni di fondo o darle per risolte, per occuparsi, dribblandole, dei temi sociali. Potrebbe, anzi, configurare una forma di connivenza. Non dimentichiamo che – senza voler ricavare da questo paragone più di un’analogia – dopo l’ascesa al potere di Hitler (che godeva di un ampio consenso popolare, forse perfino maggioritario, ed è salito al potere in modo formalmente corretto) l’economia tedesca è risorta e le questioni sociali in gran parte furono risolte. Ma la mancata attenzione a certe questioni di principio poi è stata pagata duramente.