La Fragilità del Bene
L’Umano pecca e commette reati. E’ preda (captus, e perciò captivus) di vizi e tendenze malvage. Deve combattere duramente per riuscire a liberarsi, almeno di tanto in tanto, della costrizione del male. Spesso spegne la luce della coscienza con la superficialità e il narcisismo. L’autostima debordante fa il resto, illuminando la persona di una luce livida.
Il Bene, invece, è fragile, cagionevole, facilmente perdibile. A volte è nascosto, inevidente, restio a mostrarsi nella sua trasparenza epistemica. Il Bene spesso non paga immediatamente in soddisfazione e denari, a volte li nega. Presuppone fatica e contraddizioni, avanza lentamente, e a volte sembra abbandonarti sulla strada, in solitudine. Ma in realtà ti attende dietro a una svolta, dopo una giornata durissima, dopo un dolore.
Martha Nussbaum, gentilissima filosofa, ha scritto un libro (1986) con questo richiamo alla fragilità, invitandoci a credere che la fragilità è la connotazione del valore, e appartiene al cerchio potente della Sapienza. Che insegna, quando è il caso, a provare anche vergogna per il male commesso e indignazione per il male inferto agli altri.
Vergogna e Indignazione sono sentimenti necessari all’equilibrio di una Psicologia e di un’Etica individuali declinate secondo il Bene, dove il Fine è l’Uomo stesso.
L’Io e il Tu, anzi tutti i Tu del mondo, laddove è necessario discernere tra i vari “tu”, tra i quali vi sono i “tu” con cui si può avere una relazione spirituale, e i “tu” da cui guardarsi.
La missionarietà intellettuale non può andare contro la volontà di chi non è interessato a comprendere lo que la vida means.
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