Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

I Cavalieri del Cielo

Ero ragazzo, forse dodicenne, quando mi misero in mano un libro un po’ scassato, con la copertina sbrecciata, dove si indovinava un disegno. Cavalli al galoppo contro carri armati.

Mi ero immerso nella lettura e in mezzo pomeriggio l’avevo letto. I cavalieri del cielo. Narrava la storia dell’ultima carica della cavalleria polacca, nel settembre del ’39, contro i carri Tiger della Wehrmacht, che avevano passato il confine e rotolavano verso Varsavia.

Ricordo ancora i nomi di quegli eroi: sergente Smigly, sottotenente Modlin. Presenti. Carica e poi la polverosa morte.

Non ho più trovato quel libro. Non so se ne esistono altre copie. Forse si trattava di un romanzo di guerra di quelle serie che uscivano negli anni ’60.

Qualche anno fa avevo portato mia figlia, o lei aveva portato me, a veder passare i corridori del Tour de France sul Col du Galibier, 2650 metri di rocce scure e di freddo pungente, 14 luglio, 3 gradi. Beatriz saltellava per scaldarsi mentre la carovana si annunciava dopo cinque ore d’attesa. Primo era passato Vinokourov, il kazako matto, che andava a vincere a Briancon.

Poi, solenni, Armstrong in giallo, Basso con il suo enigmatico sorriso, e Rasmussen con la maglia a pois.

Scomparivano giù dal passo in un turbinio di pedali e un fruscio d’aria. Inghiottiti dalla voragine della grande montagna.

Avevamo fatto più di dieci chilometri a piedi dal Col du Lauteret, dove avevamo lasciato l’auto. Poi altri dieci chilometri. Mi è caduta due volte in discesa la piccola, per la stanchezza (non aveva allora compiuto dieci anni).

Con l’auto a Grenoble in albergo.

La cena e un grande sonno.

I cavalieri del cielo, li avevo visti, ero lì perché avevo letto di loro in una lontana estate … o perché me ne aveva parlato mio padre, narratore leggendario di cavalieri e ciclisti, che ora cavalcavano con lui oltre le nuvole.

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