Essere Singolare-Plurale
Di questi tempi disarticolati e stupidamente ansiosi è una boccata d’ossigeno dialogare con chi pensa.
Di questi tempi caratterizzati dalla quasi assenza di pensiero … o dalla sua povera asfitticità.
Nancy è uno con cui merita di colloquiare.
“Essere singolare plurale significa: l’essenza dell’essere è, ed è soltanto, una co-essenza; ma co-essenza o l’essere-con-l’essere-in-tanti-con designa a sua volta l’essenza del co-, o ancora meglio il co- (il cum) stesso in posizione o in guisa di essenza”.
Forse Jean-Luc Nancy non si è preoccupato tanto della chiarezza in questa sua espressione, ma non è il solo.
Il linguaggio filosofico, con il suo rigore, ri-chiede un impegno maggiore di cura e di penetrazione etimologico-lessicale, rispetto ad altri linguaggi. In questo si apparenta molto al linguaggio sintetico-simbolico delle matematiche, specialmente con la disciplina “di mezzo”, che è la logica. Soprattutto i moderni e i contemporanei, da Leibniz e Kant in poi, non si sono dati molto pensiero dell’oscurità espressiva dei loro testi.
E ancora: “Dunque: non prima l’essere dell’essente e poi l’essere stesso come essente l’uno-con-l’altro, ma l’essente – ogni essente – determinato nel suo stesso essere come essente l’uno-con-l’altro. Singolare plurale: cosicché la singolarità di ciascuno è indissociabile dal suo essere-con-in-tanti”.
Si può tradurre così: ogni essere umano non può ritenersi solo un soggetto incomunicabile, ma deve considerarsi in tanto in quanto è-in-relazione, è-in-dialogo con l’altro.
Quello di Nancy è una sorta di esistenzialismo co-essenziale, in questo apparentato, se pur per strade differenti, alla dialogicità buberiana e alla necessità vitale per il Soggetto di considerare come parte della propria esistenza il Volto dell’Altro, posta da Lèvinas.
“Se non pensiamo l’essere stesso, l’essere dell’esistenza abbandonata, o l’essere dell’essere-nel-mondo come ‘libertà’ (e forse come una libertà e una generosità più originaria di ogni libertà) siamo condannati a pensare la libertà come un’idea e come un ‘diritto’ puri, per concepire in compenso l’essere-nel-mondo come una necessità assolutamente cieca e ottusa” (L’esperienza della libertà).
Oh Dio, la Libertà, come un “Volere-ciò-che-si-fa“, non come un “Fare-ciò-che-si-vuole“, perché se non si vuole ciò che si fa, in quanto inconsapevoli di ciò che è ragionevole conoscenza della propria “verità locale” (Zampieri), non si vive la libertà, ma una sua parvenza, un suo fantasma, uno scimmiottamento noioso e a volte tragico.
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