La Banalità nelle Parole. La Filosofia e il Linguaggio come Sapienza nella Comunicazione
Ce l’ho con … Lectio brevis di Etica della Comunicazione in forma di Invettiva
al Caffè Contarena, Udine, 15 marzo 2011, ore 20.30
(Giorgio Giacometti e Renato Pilutti in Dialogo)
Ce l’ho con quelli che scrivono “apocalisse” volendo significare catastrofe, cataclisma, tragedia, disastro, ecatombe (come traslato che significa “molte vittime”). Apocalisse (parola greca), se non agli incliti, è noto significhi “rivelazione“: quindi non funziona neanche come metafora. Rivelazione di cosa, il terremoto in Giappone, di una vendetta divina? Ma andiamo!
Ce l’ho con quelli che scrivono “bufera” volendo significare confusione, difficoltà, casino, e così via. Titoli di giornali a iosa: sempre “bufera su … e su … e su …”. Privi di fantasia e soprattutto di un lessico professionale.
Ce l’ho con quelli che chiamano i mezzi di comunicazione “midia”, invece che “media”, scambiando il latino per l’inglese.
Ce l’ho con quelli che dicono “Naik(i)” invece di “Nike”, marca di calzature sportive, scambiando questa volta il greco per l’inglese.
Ce l’ho con quelli che rispondono sempre “Sì, ma…”, dove ciò che conta non è il sì ma il ma, un’avversativa, anche quando sono strenuamente d’accordo con l’interlocutore, dimostrandosi del tutto incapaci di un minimo rinforzo, che sarebbe un “dar ragione”, un “riconoscere come valide le ragioni dell’altro”.
Ce l’ho quelli che dicono “quant’altro“, invece di aver il rispetto di finire di spiegare quello che vogliono dire.
Ce l’ho con quelli che dicono “Senza se e senza ma“, per dire che “è così e basta” (che fenomeni di dialettica!), che sono spesso gli stessi di cui sopra. Noiosi!
Ce l’ho con quelli che dicono “bla bla, e poi, della serie …”, intendendo che si tratta di un qualcosa di scontato, risaputo.
Ce l’ho con quelli che dicono “In buona sostanza“, invece di “per dire, in definitiva, oppure un appropriato cioè, etc.”. Altri noiosi.
Ce l’ho con quelli che dicono sempre “Ci vuole ben altro!”, dopo avere impazientemente ascoltato l’altro.
Ce l’ho con quelli che esordiscono con un “Al di là di …”, prima ancora di focalizzare l’”Al di qua” del discorso nel quale sono impegnati.
Ce l’ho con quelli che ci tengono a sottolineare subito “Non solo, ma anche …”, mettendo immediatamente in mora il discorso dell’interlocutore.
Ce l’ho con quelli che ti dicono “Tranquillo“, quando li chiami perché sei in ritardo. Basterebbe dire “va bene“.
Ce l’ho con quelli che dicono “ni” volendo significare né “no” né “sì“. L’ambiguità della vita non si definisce con un monosillabo privo di ogni significanza.
Ce l’ho con quelli che hanno abolito il congiuntivo, rendendosi incapaci di esprimere ipotesi, esortazioni, opzioni, auspici, e così mortificando gli scenari più umani dell’umana esistenza.
Ce l’ho con quelli che chiamano le scarpe con il nome della marca, perché usano impropriamente le figure retoriche.
Ce l’ho con gli stessi (sopra detti) che stanno banalizzando la sineddoche e la metonimia, e così finiranno per soffocare anche la metafora, e dunque se stessi.
Ce l’ho con quelli a cui scappa di dire sempre “Francamente…”, perché hanno bisogno di sottolineare che non è scontato “parlare francamente”.
Ce l’ho con quelli che dicono “Assolutamente sì, assolutamente no” volendo dire sì e no, ma hanno bisogno di un inutile avverbio di modo.
Ce l’ho con quelli che dicono “Sarò sincero”, perché hanno bisogno di sottolineare che non sono menzogneri.
Ce l’ho con chi chiama gli “infermi” “allettati”, così confondendo il dolore con il desiderio.
Ce l’ho con chi dice “diversamente abili” ai “disabili”, con chi chiama i “ciechi” “non vedenti”, i “sordi” “non udenti”, i “vecchi” “anziani“, i “muti” “muti”, perché “non parlanti” non gli è ancora venuto in mente.
Ce l’ho con quelli che dicono “piuttosto che” (un’avversativa) invece che usare correttamente la congiunzione “e“.
Ce l’ho con chi parla come un documento ingiallito degli Uffici Finanziari.
Ce l’ho con chi usa quasi solo acronimi, ignorando che un gruppo di lettere iniziali puntate si chiama proprio così.
Ce l’ho con il “giuridichese”, siffatto per escludere i più da un normale processo di comprensione.
Ce l’ho con chi confonde il “sacro” con il “religioso”, e il “religioso” con il “teologale”.
Ce l’ho con i politici che insultano gli avversari trattandoli a male parole, o minimizzando il loro operato, e non distinguono quasi mai l’errore dall’errante (Lectio magistralis di Giovanni XXIII).
Ce l’ho con gli adolescenti che offendono la gente per strada, ma di più con i loro genitori.
Ce l’ho con i provocatori di professione, perché ritengono di dire sempre cose clamorose.
Ce l’ho con quelli che dicono “eclatante”, non perché non conoscano gli aggettivi italiani, ma perché il francese fa più elegante. Ma forse non sanno che “eclatante” significa “scoppiante”.
Ce l’ho con chi ti parla sopra, dopo averti fatto una domanda. Televisione, cattivissima maestra.
Ce l’ho con i politici senza un mestiere proprio.
Ce l’ho con i sindacalisti che lucrano nomine per avere uno stipendio, indipendentemente dal valore aggiunto che sono in grado di creare.
Ce l’ho con il politichese di “nella misura in cui” e del “cui prodest”, usato spesso senza sapere che cosa significa.
Ce l’ho con coloro che coltivano gli “orti conclusi” della cultura, gli esclusivisti, le pinzochere oltranziste della carta stampata.
Ce l’ho con le beghine e i begardi del pensiero debole, che vorrebbero ridurre tutti nel beghinaggio dell’incertezza totale.
Ce l’ho con i voltagabbana di ogni genere e specie, ieri socialisti, oggi liberisti o populisti.
Ce l’ho con gli incapaci che guidano l’opposizione politica di oggi, perché non in grado di fare proposte, invece di scagliarsi contro il “gran narciso” che stanno facendo diventare, piano piano, un eroe.
Ce l’ho con i barattieri e i simoniaci d’accatto, che si giocano o vendono anche quello che resta della loro coscienza al miglior offerente.
Ce l’ho con quelli che ti chiedono “Come stai?”, anche se in realtà non gliene frega niente di te.
Ce l’ho con i despoti, con i carismatici e con coloro a cui sorridono i denti, perché sono troppo micragnosi per sorridere di cuore. A piacere aggreghi i nomi il paziente lettore.
Ce l’ho con le vestali dell’antipolitica, magari con barba e baffi e frinire di “grilli”.
Ce l’ho con i falsamente modesti, laici e anche chierici, ché in realtà adorano la ribalta, il potere e la gloria.
Ce l’ho, dunque, con una piccola parte degli umani, scimmie nude ma consapevoli, e anche con me che non riesco a fare di meglio.
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