Oggi viviamo -nostro malgrado- nella “mediocrazia del cretino”.
In questo sito abbiamo già più volte parlato dei linguaggi che bolsamente imperversano, dei loro mentori politici e dei divulgatori: scrivani che siano o “fini dicitori” ciondolanti per studi tv.
Se ne sono già accorti in tanti da decenni: un piccolo elenco:
L’evo moderno è finito. Comincia il medio-evo degli specialisti. Oggi anche il cretino è specializzato.
Ennio Flaiano, Taccuino del marziano, 1960 (postumo, 1974)
Il cretino è imperturbabile, la sua forza vincente sta nel fatto di non sapere di essere tale, di non vedersi né mai dubitare di sé.
Carlo Fruttero e Franco Lucentini, La prevalenza del cretino, 1985
Nessuno è abbastanza intelligente per dimostrare a un cretino che è un cretino.
Roberto Gervaso, Il grillo parlante, 1983
Non disturbate il cretino che lavora!
Leo Longanesi, Parliamo dell’elefante, 1947
L’attività del cretino è molto più dannosa dell’ozio dell’intelligente.
Mino Maccari, Asterischi, 1932
Capisco il bacio al lebbroso ma non la stretta di mano al cretino.
Pitigrilli, Dizionario antiballistico, 1953
È ormai difficile incontrare un cretino che non sia intelligente e un intelligente che non sia cretino.
Leonardo Sciascia, Nero su nero, 1979
Ma talvolta si esagera. Dicebamus: viviamo nella “mediocrazia del cretino” … ad esempio: un tizio che ha il grado di caporal maggiore (nientepopodimeno), gesticola scompostamente davanti alle telecamere, passeggia deambulando elasticamente tra un boschetto e la sua auto, mani in tasca del giubbotto o, due mesi dopo -da tanto va avanti il grottesco e noiosissimo spettacolo alimentato da cronisti e da donnette che gli scrivono… “sei bellissimo, ti amo anche se fossi un assassino“, e lui lo riferisce! il cre.(?)- in camicia fuori dei pantaloni.
Figo trendy maschio trentenne barba corta, occhiali neri, il capporal maggiore, dicono che dopo il ritrovamento della moglie -assassinata- sull’Appenino teramano, abbia inanellato un sacco di contraddizionie bugie, dicono … gli inquirenti si riservano …
… che abbia a che fare con l’eterna saga del cretino, questo Salvatore … (cosa?, ma devo proprio ricordarmi il nome e anche il cognome?), 1.100.000 links da Google in 7 nanosecondi, io ne ho solitamente8/15.000, a volte 30.000, ma sto migliorando (oggi ne ho 470.000.000!), un altro Salvatore, il poeta Quasimodo, 1.000.000?
Naturalmente, posto che nessuno può ora dire che è un criminale, si può sen’zaltro apostrofarlo con il termine di cui sopra, in buona compagnia di tant’altri, anch’essi esaltati da stampa e tv, involontariamente (?) promotori del difettuccio mentale di cui diamo conto in iconografia, ma con grande rispetto per il pover’uomo ritratto da un antropologo di scuola lombrosiana, rispetto che non abbiamo per il graduato di cui qui…
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- Prima di parlare di Donald Trump, nuovo presidente degli Stati Uniti d’America, desidero proporre un altro argomento, che sembrerà forse un po’ strano e intempestivo ai miei cari lettori, ma a mio avviso non lo è. Eccolo: la ragion per cui Gioan Brera-fu-Carlo, il più grande giornalista sportivo italiano del XX secolo, tra una congerie di firme che annoverava perfino importanti scrittori come Giovanni Arpino e Dino Buzzati – a mio avviso – aveva torto marcio, quando definiva Giovanni detto “Gianni” Rivera e altri calciatori consimili “abatino”, perché poco propensi a correre come mediani, e come, se fosse in vita (più o meno centenario), avrebbe pure oggi torto (ancora marcio) a definire, in base al suo pensiero (penso lo farebbe), dei “non-campioni” calciatori come Mario Balotelli, Antonio Cassano e Rafael Leao, che a volte ciondolavano o tuttora ciondolano per il campo di football, invece di spremersi senza tregua per il campo rincorrendo un pallone o sfuggendo agilmente a un avversario. Caro Brera, nella vita, sul lavoro e ovunque ci sono, sia i “mediani” sia “numeri 10”, e poi i portieri, i centravanti e le ali (non i “braccetti” come ridicolmente le chiama qualcuno da qualche tempo), gli stopper e i liberi, tutti utili, anzi indispensabili, gli uni e gli altri, anzi, gli uni agli altri e soprattutto alla squadra. Caro Brera, le scrivo cordialmente “dall’aldiqua”, perché lei ha lasciato a questo mondo molti suoi imitatori di scarso livello, in tutti i settori dell’informazione, ma soprattutto un sottofondo di fastidiosa arroganza in chi, invece di agire, si dedica solo a raccontare le gesta di chi agisce, giudicandole – a volte – senza avere titoli sufficienti e adeguati per farlo, perché “l’agire del raccontare” si colloca sulla superficie del valore oggettivo della realtà fattuale, eccezion fatta per chi “inventa” (nel senso del verbo latino “invenire”, cioè trovare), una nuova realtà rendendola “fattuale” come nel “mondo fantasy” di un Lodovico Ariosto, di un Hans Christian Andersen o di un John Ronald Reuel Tolkien, come riescono a fare solo i poeti veri (Omero, Publio Virgilio Marone, Dante Alighieri, Francesco Petrarca, Giacomo Leopardi…) e i grandi scrittori (Honoré de Balzac, Alessandro Manzoni, Charles Dickens, Feodor Dostoevskij…), tra i quali annovero assai pochi appartenenti, lato sensu, al suo mestiere, caro Brera. Aliis verbis, il racconto di ciò che altri fanno è meno sostanziale ed efficace dei fatti raccontati… o no? Si può dire che “la cosa” o “il fatto” sono solitamente più importanti della loro mera narrazione? Lei caro Gioan è, a mio avviso, una positiva eccezione, anche se qui la critico un po’ (però dopo averla lodata). Dopo aver parlato di calcio e di come questo meraviglioso sport viene raccontato, propongo un cenno sulla cultura corrente che divide il mondo tra “vincenti” e “perdenti”, che è rivolta soprattutto ai giovani… (0)
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La forza della mediocrazia: il gioco di squadra
Quando si ascoltano ripetuti richiami nei confronti di un soggetto ad un maggior impegno nel cosìddetto “gioco di squadra”, non vi sono dubbi sullo scopo finale di un tale invito:
assoggettare l’individuo intellettualmente superiore ed il soggetto meritevole alla mediocrazia ed alla idiocrazia imperante.
Non vi è alcun dubbio infatti, che se tale soggetto viene invitato ad un maggior gioco di squadra e non viene semplicemente invitato ad “uscire dalla squadra”, è perchè il suo valore è necessario a tutti, mentre appare più evidente che, sua pure nell’ottica dell’adagio “tutti sono necessari, nessuno è indispensabile”, di tutti gli altri giocatori si potrebbe fare certamente a meno, tranne proprio di quello che pare non fare il gioco di squadra.
La distorta visione di una democrazia che sia la dittatura degli idioti e degli immeritevoli sui soggetti razionali ed intelligenti oltre che meritevoli, affonda le sue radici storiche nel concetto erroneo che i soggetti, gli individui e le persone, siano tutti uguali.
Questa evoluzione negativa della democrazia in un concetto distorto di cittadinanza avverte le coscienze di quale grado di mediocrità e di irrazionalità si sia raggiunti in una società che immagina non un punto di partenza uguale per tutti, ma una uguaglianza obbligatoria e senza soluzione di continuità che sostenga la crescita di ognuno.
Ma la realtà ci avvisa che, sostenendo sempre e comunque un idiota nella sua crescita formativa umana, professionale, politica e di cittadinanza, si formano solamente eserciti di mediocri affatto inclini al sacrificio, soggetti che sono stati abituati a credere che il loro pensiero vale quanto se non più di quello degli altri.
Questa pantomima dell’umanità incontra poi il concetto deviato di uguaglianza, facendosene scudo e spada:
poichè siamo in democrazia, ognuno ha diritto di pensiero e di parola ed io penso e manifesto i miei pensieri, che devono essere sostenuti dal concetto errato di eguaglianza secondo cui, il pensiero di un idiota, in assenza di una Pubblica Opinione ben educata e formata che sappia discernere fra il pensiero di un mediocre da quello di un intelletto superiore, valga infine il pensiero di un essere intelligente e razionale.
E siamo alla fiera dell’imbecillità, supportata dalla assenza di una cultura generale sufficiente a discernere fra mediocrazia e democrazia.
In una condizione del genere, chiedere ad un intelletto culturalmente e razionalmente superiore alla media di fare “gioco di squadra” con dirigenze che sono il risultato della selezione mediocratica, sarebbe come chiedere ad un medico chirurgo cui sia stato affidato il Premio Nobel, di utilizzare la sua arte e la sua manualità chirurgica nel ripulire i canali di scolo delle fogne pubbliche.
Eseguire poi questa “delicata operazione” all’interno di sistemi corporativi di caste privilegiate sì, ma affatto meritevoli, singificherebbe per lo sfortunatissimo chirurgo, dover dipendere anche dalle indicazioni e dalle direttive di soggetti assolutamente mediocri (nella media le caste corporative possono generare mediocrità profonde perchè appunto, protette), ignoranti, intellettualmente carenti, oppure, peggio di ogni altra cosa al mondo, di ignoranti grossolani che hanno imparato a sostituire il proprio deficit intellettivo con la furbizia, divenendo così degli impareggiabbili praticoni del “so tutto io”, autentica mania dell’essere e riferimento sociale proiettato dalla comunità in cui sono nati e cresciuti.
E come ogni deficit, esso è di natura genetica, e si trapassa di generazione in generazione, formando nuove leve di idioti assoluti, patentati e laureati, ma molto lontani anche dallì’originale furbetto del quartierino che si è fatto da solo ed interpretando quindi la loro nucleazione comunitaria come un dovere sociale da parte degli altri soggetti e di un imprescindibile diritto atavico per se stessi, oramai divenuti uomini-dei, e come tutti gli uomini che si credono un Dio, ignoranti ed arroganti all’infinito.
Passa la palla!
No, a me, a me!
No, non così, devi cambiare fascia!
Ma cosa combini: non capisci nulla!
Tutti giocatori di talento, figli d’arte e allenatori del gioco di squadra sin dalla culla.
E non si avvedono nemmeno che le partite le stiamo perdendo tutte, ma proprio tutte.
Essi non hanno il dovere di essere giocatori normali, cittadini esemplari, soggetti meritevoli:
essi hanno la vocazione genetica a volere sempre ragione, sempre e comunque, anche quando la loro ragione, fa perdere una partita dopo l’altra a tutta la squadra, dando ovviamente la colpa di tutto questo a chi, secondo loro, non fa il gioco di squadra.
Motivo per il quale sono tanti quelli che con capacità di problem solving elevate che preferiscono fare gli spettatori che i giocatori, in questa follia dell’idiozia, in questa fiera dell’imbecillità.
Chi rompe paga, ed i cocci sono i suoi.
Anche questo adagio popolare può proiettare un futuro che è sempre più concreto e tangibile:
il declino delle democrazie liberali moderne, fraintese in mediocrazie della sopraffazione degli idioti sugli intelligenti.
Faites votre jeu, mesdames et messieurs, faites votre jeu.
Gustavo Gesualdo
alias
Il Cittadino X
http://www.ilcittadinox.com/blog/la-forza-della-mediocrazia-il-gioco-di-squadra.html