… leggendo Platone
dal cap. XIV[1]
Socrate (dice) a Glaucone: “ (…) quando, credo, uno stato democratico, assetato di libertà, è alla mercè di cattivi coppieri (magistrati, politici) e troppo si inebria di schietta libertà, allora, a meno che i suoi governanti non siano assai miti e non concedano grande libertà, li pone in stato d’accusa e li castiga come scellerati. (…) Non è inevitabile che in uno stato siffatto il principio di libertà si allarghi a tutto, e così vi nasce l’anarchia e il disordine? (…)
In quello stato il padre si abitua a rendersi simile al figlio e a temerlo, e il figlio simile al padre e a non sentire né rispetto né timore dei genitori, per poter essere libero (…).
In un simile ambiente il maestro teme e adula gli scolari, e gli scolari s’infischiano dei maestri e così pure dei pedagoghi.
Lì, in genere, i giovani si pongono alla pari degli anziani e li emulano nei discorsi e nelle opere, mentre i vecchi accondiscendono ai giovani e si fanno giocosi e faceti, per non passare da spiacevoli e dispotici.
Continua Socrate: (…) ecco, dunque, caro mio, l’inizio bello e gagliardo, donde viene la tirannide. Quell’identico morbo che può sorgere dall’oligarchia, ecco che sorge anche dalla democrazia (…).
Forse serve ogni tanto riflettere su queste parole,
e meditarle a lungo
e trarne insegnamento …
[1] Platone, La Repubblica, a cura di F. Sartori, Ed. G. Laterza, Bari 1994, pp. 280 – 281
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