Tut te pol comprarme, ma la me tera mai. La xe me mare.
… scritta su una vecchia stalla ai confini tra Veneto e Friuli.
“Tutto mi puoi comprare, ma la mia terra mai. E’ mia madre“. Così scrive Edoardo Pittalis sul Gazzettino un giorno di questo marzo.
Parla dei suicidi di imprenditori di questo silenzioso e rattristato Nordest, ex confine d’Europa, e ora in continuum verso la Mitteleuropa e l’Est.
Tutto si muove, è in questione. Nulla di certo.
Il lavoro è bene difficile. La grande economia chiede qualità e costi sempre più all’osso.
I tedeschi hanno rispolverato l’antica arroganza e la sindrome del migliore.
Lo Stato italiano fa fatica a ridurre la burocrazia e fa fatica a pagare chi lavora. Le banche non danno credito, nonostante le vagonate di miliardi di euro ricevute all’1 per cento di interesse.
Le imprese languono, i lavoratori vedono il loro reddito ridursi e gli imprenditori soffrono.
Alcuni non reggono più e si tolgono la vita. Ivano, Franco …, lasciando sobri messaggi di saluto.
A volte non sono strozzati dalle banche, ma dai mancati pagamenti per lavori fatti.
Di chi è il dolo, di chi la responsabilità, di chi il peccato mortale per questi morti? Peccato meritevole del fuoco eterno, ovvero dell’assenza di Dio nella solitudine infinita ed eterna.
Quale funzionario, quale politico non ha fatto il da farsi secondo dovere e diritto?
C’è qualcuno che si batte il petto per questo, qualcuno che si darà da fare?
Che la vergogna, sentimento nobilissimo, illumini le loro irresponsabili pigrizie assassine, e le disintegri, per lasciare spazio a un pensiero attento all’altro.
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