La voce del Narratore nel Tempo
Il film inizia con un aquilone perso nel cielo d’Irlanda, azzurrissimo. Il bimbo che lo rincorre e poi si rassegna alla perdita è la voce narrante, da adulto.
La storia si dipana nella semplice vita di un villaggio irlandese alla vigilia della Seconda guerra mondiale. A Ballybeg, paesino della contea irlandese di Donegal, vive la famiglia Mundy, cinque sorelle nubili e un fratello, Jack, prete cattolico missionario in Africa, di ritorno dal Kenia.
Animali da cortile, pecore al pascolo, verdissimi prati e un’economia di sussistenza.
Quattro di loro fanno i lavori casalinghi e cuciono guanti per un’artigiana del paese. La maggiore fa la maestra nella scuola parrocchiale, una Meryl Streep, al solito, più vera di se stessa.
Il bambino è figlio della sorella più giovane e bella e di uno che sembra un perdigiorno, biondo e cordiale; questi un giorno compare dopo diciotto mesi su una motocicletta, forse una Triumph o una Norton dell’epoca …
Né di più dico per non rovinare la visione di questo bel film del ’98 di Pat O’Connor, Ballando a Lughnasa.
Il racconto è semplice. Le relazioni tra le persone si alternano in una vita austera senza fronzoli e superfluo.
La memoria rinvia ad analoghe atmosfere nostrane di un passato apparentemente remotissimo.
Anche le immagini, la pompa dell’acqua nel cortile, la festa del paese, l’essenziale operare quotidiano per un reddito bastante a una vita dignitosa. Sì, anche la ristrettezza mentale del luogo chiuso e distante dalla città.
Ma in fondo, la nostalgia della voce narrante, immersa nel tempo, è la stessa di questa nostra plaga di mondo, la mia stessa. Il bimbo che corre son io.
Fermamente allacciato a quelle voci lontane, convinto di un qualcosa che resta e accompagna il tempo che viene solidamente e per sempre … su questa terra e in questa vita.
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