Forse un mattino andando…
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo;
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.
Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
alberi case colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
(E. Montale, Ossi di seppia. Tutte le poesie, Lo specchio – A. Mondadori Editore, Milano 1977, p. 61)
… o forse una sera a Arba dove Bulfardo rammemora i lapsi che caddero sotto Decio e Valeriano,
lapsi come noi che parliamo nella sera tarda e silente con Giovanni Corona da Erto,
Gene Hackman delle Alpi Clautane.
Cagionevoli e fragili come fili d’erba recisi dal vento che torna.
Un gatto mi traversa la strada mentre prendo il cammino
al Meduna sassoso dell’Alta pianura
e la notte inesorabile avanza.
Dolorini di schiena da postura.
Rare macchine di lontano occhieggiano nel buio profondo.
La radio gracchia notizie obsolete come i programmi informatici di questo computer,
mentre skype mi annuncia presenze da Oltreoceano.
Il sonno mi prende quasi e resisto rallentando, alzo il volume …
il Requiem di Mozart e poi mezzanotte,
il nuovo giorno è arrivato mentre rallento entrando
nel cortile di casa.
Forse un mattino andando in un’aria di vetro… canta il poeta,
forse.
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