Relazione, dialogo, comunicazione
Confusione e sciatteria espressiva e terminologica caratterizzano molta parte delle relazioni intersoggettive e della comunicazione pubblica in questi ultimi decenni, sintomo e causa della superficialità delle stesse relazioni interpersonali.
Un tempo si scriveva e si parlava con più cura, anche se gli analfabeti totali erano più numerosi. Oggi siamo ad analfabetismi di ritorno di vari gradi e modalità.
Anche in azienda. Per questo non è peregrino proporre un processo formativo di rigorizzazione dei termini in questione nell’organizzazione aziendale e nella gestione del personale. Ad esempio in tema di comunicazione.
Tra molti esperti veri non pochi dilettanti (laureati in qualche disciplina) operano nel mondo della formazione, proponendo corsi su corsi in tema di comunicazione, di cui esistono anche facoltà universitarie la cui epistemologia forse andrebbe un po’ rivista. Molto spesso i corsi si limitano a considerare solo le tecnicalità della comunicazione stessa, senza approfondire gli aspetti che pone una vera filosofia della comunicazione, la quale richiede un approccio diverso, integralmente antropologico.
Per parlare di comunicazione bisogna avere presente il quadro sinottico della struttura fondante della persona. Non c’è comunicazione se prima non si costruisce la relazione, e se questa non si alimenta di un dialogo tra interlocutori che si “riconoscono” tali (Wittgenstein). La relazione è un investimento affettivo ed emozionale verso l’altro. Il dialogo (parola-che-attraversa e a volte confligge) è il modo espressivo, linguistico e prossemico della relazione. La comunicazione è ciò che tecnicamente permette di attuare il dialogo e la relazione. Non viceversa.
Faccio un esempio concreto. Ricevo una e-mail con la quale mi si invita a promuovere tra conoscenti, enti e aziende una iniziativa di formazione etico-sociale. Chi mi invia la e-mail è persona con la quale ho collaborato per anni a progettare iniziative del genere, partecipando attivamente anche come relatore e docente. Ho deciso che non farò alcuna promozione, e non per ripicca, ma semplicemente per mostrare che nella vita e nelle cose bisogna essere più sottili, più eleganti, più rispettosi, più capaci di analisi e ascolto degli altri. Dove sta l’errore fatto nei miei confronti? Si è passati direttamente ad una “comunicazione di servizio”, senza alcuna attenzione alla relazione e al dialogo. Se vi fosse stata relazione e si fosse aperto un dialogo, quella comunicazione mi avrebbe immediatamente attivato.
Questo è il punto. Le persone, sul lavoro, ma anche nelle vicende della vita privata, hanno bisogno di attenzione, hanno bisogno di sentirsi in qualche modo importanti. Non si può pretendere dai collaboratori in azienda un impegno costante e che si rinnova, se non gli si dà lo spazio psicologico e morale dell’attenzione e dell’ascolto. Non vi sono più meri esecutori di ordini, ma persone che chiedono di essere considerate per la dignità umana che le contraddistingue e la professionalità che mostrano.
Occorre riprendere in mano sensibilità che un tempo appartenevano a molte attività umane, dominando la fretta che la fa da padrona, dettando i tempi e oscurando talora la logica e l’argomentazione, che richiedono tempi fisici dati, poiché non sopportano le scorciatoie dialettiche, le frasi fatte e gli stereotipi noiosi.
Infatti la noia è uno dei nemici principali di un’organizzazione del lavoro intelligente e creativa, e si combatte mediante la continua attenzione al lavoro altrui, mentre si valorizza il proprio.
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