La sapienza di Erasmo
Geer Gertz nasce a Rotterdam il 28 ottobre 1466 (o forse 1469, allora l’anagrafe poteva errare e anche ora in certi luoghi del mondo) da un sacerdote attivo a Roma come copista.
Con l’uso di ragione, e andato a scuola dai Fratelli di Vita Comune a Deventer, assume il nome latino aulico di Desiderius Erasmus. Abita prima a Hertogenbosch e successivamente a Steyn; diventa segretario del vescovo di Cambrai, Henri de Bergen e infine va a Parigi per studiare teologia. Inquieto com’è va in Inghilterra, dove conosce Thomas More di cui sarà sempre amico.
Pubblica nel 1503 un manuale di devozione, l’Enchiridion militis christiani e nel 1504 a Lovanio scopre e pubblica un manoscritto di Lorenzo Valla, Annotationes in Novum Testamentum, e torna in Inghilterra. Lì si dedica allo studio del greco, traduce Euripide e Luciano di Samosata, cogliendone positivamente lo spirito critico.
Precettore del figlio bastardo del re di Scozia Alexander Stewart, vescovo di St. Andrews, lo accompagna nel viaggio in Italia. A Torino riceve il dottorato in teologia. Chissà perché a Torino?
Grande incontro quello con lo stampatore veneziano Aldo Manuzio, di cui diventa grande amico. A Roma è sotto la protezione del cardinale Grimani.
Viene richiamato in Inghilterra con l’ascesa al trono di Enrico VIII, noto per la sua simpatia verso la cultura umanistica e per le asce dei patiboli.
E’ in quel viaggio di ritorno che concepisce l’Encomion Morias, l’Elogio della Follia, che pubblica nel 1511, e qui ne parleremo. Ha il merito di curare una bella edizione del Nuovo Testamento in greco, corrispondente quasi in tutto alla Vulgata di San Girolamo, di cui corregge alcuni passi in latino.
Inizia il suo dialogo con Lutero, caratterizzato da moderazione e apertura. Il suo De libero arbitrio si contrappone al De servo arbitrio dell’ex frate agostiniano, oramai in rotta con Roma. Il tema eterno circa quanto e come l’uomo possa considerarsi libero: con Lutero a sostenere una forma di determinismo antropologico (l’uomo è peccatore, e quindi solo la Fede e la Grazia divina lo possono salvare), ed Erasmo a salvaguardare una possibilità di libertà nella scelta tra il bene e il male da parte dell’uomo (le opere hanno un peso nella salvezza dell’anima spirituale). Il luteranesimo dispiega le sue ali, ma Erasmo, cattolico in ascolto, non smette di coglierne gli umori innovatori.
Dopo alterne vicende e altri scritti muore a Basilea il 12 luglio 1536. Tutte le sue opere sono poste all’Indice dalla Chiesa cattolica. Erano tempi…
E dunque l’Elogio della Follia ci interessa, eccome! Erasmo apre il suo cuore e la sua mente alla passione, così vituperata dagli Stoici, ma lodata da Paolo, e scrive recuperando il più puro spirito evangelico in tempi nei quali la Chiesa di Roma (…) considerava i miracoli fuori moda, noiosa l’istruzione al popolo, pedante l’interpretazione della Scrittura, perdita di tempo la preghiera, sordida la povertà, disonorevole la sconfitta in guerra, una disgrazia la morte sulla croce. (…) Cfr. Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia, Saggio introduttivo di Ronald H. Bainton, Fabbri Editori, Milano 1996, p. 24
Per Erasmo la follia, intesa non come malattia mentale o psicosi, è santa, perché…
“…non vi folle che agisca da folle come coloro che sono presi dalla pietà cristiana al punto da distribuire i loro beni, passar sopra alle offese, tollerare di essere ingannati, non distinguere più fra amici e nemici, schivare il piacere, satollarsi di fame veglie pianti fatiche rampogne, giungere a sdegnare la vita e desiderare solo la morte, a dar l’impressione di disdegnare ogni senso comune, come se la loro anima vivesse da qualche altra parte e non nel corpo. Che è questo se non pazzia? Nessuna meraviglia che gli apostoli sembrassero ubriachi di vino nuovo e che Paolo sembrasse matto al procuratore Festo. Cristo stesso si fece folle, quando si presentò in forma d’uomo che può portar salvezza con la follia della Croce: perché Dio ha scelto la follia del mondo a confondere la saggezza, e la debolezza del mondo a confondere la potenza“. Ibidem, p. 25.
Facciamo un passo avanti: follia come metafora, nel senso di un modo di dire ciò che supera il senso comune, e anche il comune buon senso, follia come rischio di un vivere con pazienza e mitezza, distacco dai beni materiali e sobrietà; follia anche come coraggio del fare, come stampella gettata oltre l’ostacolo al modo di Enrico Toti, come fiducia che qualcosa (che sia secondo Aristotele o secondo Hume poco importa) premi la volontà di intrapresa.
La scena del mondo è piena di orpelli, di oggetti, di beni vendibili, ma passa, sì che passa, mentre il silenzioso attendere alle opere spirituali resta, come un’aura benefica, come un profumo, come un vento leggero che rammemora, avvolge, quieta.
La sapienza di Erasmo mi soccorre in queste mattine agostane, preludio a ciò che non si conosce, come sempre.
Voci incerte salgono dalla strada del mercato, ringrazio Dio del mio respiro, e del pensiero che inafferrabile transita nella mia mente, misteriosamente costruito da impulsi e flussi di coscienza.
Anche la malinconia mi è dolce, come un presagio di quiete.
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