Quiete
Dove riposano Pietro e Luigia stamani tra le campagne sono andato a cercare quiete, la mia quiete che arriva da lontano nel tempo.
E passeggiando tra le tombe ascolto il fruscio dei pioppi e le voci dei nomi che non ci sono più a questo mondo, ma mi guardano -foto ingiallite dal tempo- cognomi e volti noti o ignoti perché di prima che io nascessi. Ci sono anche le “colombaie” per i resti dei soldati morti in Russia: date di nascita e di morte: 1920/22 – 1942 più o meno. Ragazzi dell’età di quelli che oggi cercano di diventare faticosamente uomini.
“Semplicemente meravigliato di vivere“, ho scritto sulla lapide di mio padre, perché lui era l’uomo più buono che ho incontrato, capace di stupirsi sempre…
“Presente, come sempre, mandi mame“, ho scritto sulla lapide di mia madre, presidio assoluto della mia vita.
Viaggio per le strade deserte verso Sterpo dell’Anaxum, un’auto ogni quarto d’ora e il silenzio meridiano che viene accompagnato dai battiti delle campane, e dagli echi persi tra i frondi oscuri della boscaglia.
Poi, arrivato a casa, apro -non per caso- un “Rendiconto dell’Accademia dei Lincei“, ed. a cura di F. Novati, vol. 1, 1892, p. 51, in Storia della Letteratura italiana, vol. I, Le origini e il duecento, a cura di E. Cecchi e N. Sapegno, Garzanti, Milano 1968, p. 537, un testo di Boncompagno da Signa, retore e giureconsulto del XIII secolo; egli così si rivolge al vescovo Ardengo da Bologna: “Sed ecce, reverende pater, manifestum est et occultare non possum quod iuvenis fui et mod senui; sed postquam cepi senectutis oneribus aggravari, composui librum de malo senectutis et senii, quem vestre dominationi transmitto, supplicans humiliter et devote, quatenus incultum ornatum verborum et sententiarum pondera forsitan minus idonea intuentes, ipsum corrigere dignemini, ut, facta corretione, in publicum deducatur ad hoc quod illi qui perveniunt ad martirium senectutis et ludibrium senii, qualem consolationis refocilationem in eo possint habere; quoniam per tormentum et penam aliorum senum suam quilibet quasi per speculum poterunt miseriam intueri et in hoc habere videbuntur consolatione remedium, quia solatium esse miseris consuevit. sotios habere penarum. (…)”
cioè: “Ma purtroppo, reverendo padre, è manifesto, né posso nasconderlo, che fui giovane e ora son vecchio; ma quando cominciai ad essere gravato dal peso della vecchiaia, scrissi un libro sui mali della vecchiaia e della decrepitezza, che presento alla vostra autorità, supplicando umilmente e devotamente che vi degniate correggerlo, considerando nella sua inelegante espressione il peso delle parole non del tutto idoneo a quello del pensiero, affinché, una volta corretto, sia divulgato a questo scopo; che coloro i quali giungono fino al martirio della vecchiaia e al ludibrio della decrepitezza possano cogliervi come un briciolo di consolazione; poiché dal tormento e dalla pena degli altri vecchi ciascuno potrà vedere come da uno specchio la propria miseria, ed in ciò gli sembrerà in qualche modo di trovar ragione di consolarsi, dacché sollievo agl’infelici fu sempre l’aver compagni di pena. (…)”
… ecco, l’antico retore aveva bisogno di confrontarsi e chieder consiglio su come parlare dei mali della vecchiaia e della decrepitezza. Pietro e Luigia non arrivarono alla decrepitezza, ma solo a una moderata vecchiaia. Il loro è stato un andarsene forse più eloquente, nel silenzio. Ora mi parlano da vicine lontananze.
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