Sfinge senza enigmi, o la belle inconnue
Dopo un’invettiva come la precedente, non mi spiace sciacquarmi la mente con un racconto, meglio se di un altro, in questo caso di Oscar Wilde. Non lo riporto tutto, ma da un certo punto: due amici londinesi si incontrano e ragionano del femminile o femminino, convenendo che la donna non si può capire, anzi comprendere, ma solo… (quello che vuoi tu gentile lettore ma, mi raccomando, con molti verbi). Uno racconta all’altro di un incontro…
(…) “Una sera verso le cinque stavo andando a passeggio per Bond Street; c’era una ressa di carrozze e il traffico era quasi bloccato; vicino al marciapiedi s’era fermato un piccolo coupè giallo che per caso attirò la mia attenzione. Mentre vi passavo accanto si sporse dalla vettura quel volto che ti ho mostrato poco fa. Ne fui immediatamente affascinato: per tutta la notte, per tutto il giorno successivo non feci altro che pensare a lei. Il giorno dopo girovagai su e giù per quel maledetto Row sbirciando in tutte le carrozze e aspettando il coupè giallo, ma non riuscii a trovare la mia bella sconosciuta e alla fine mi convinsi che esistesse soltanto nei miei sogni.
Circa una settimana dopo fui invitato a cena in casa di Madame de Rastail.
Si doveva andare a tavola alle otto, ma alle otto e mezzo eravamo ancora in attesa nel salotto. Finalmente un domestico aprì la grande porta e annunciò Lady Alroy. Era la donna che avevo tanto cercato! Entrò molto lentamente e sembrava un raggio di luna avvolto in pizzo grigio. Con mia grande gioia mi fu chiesto di portarla nella sala da pranzo. Quando fummo seduti osservai ingenuamente: “Credo di averla scorta qualche tempo fa in Bond Street, Lady Alroy”. Lei impallidì e sussurrò con un filo di voce: “Non parli tanto forte, la prego, possono sentirla!”. Mi sentii sconsolato per questo esordio tanto poco felice e mi immersi precipitosamente nell’argomento delle commedie francesi. Lei parlò pochissimo, sempre con quella sua bassa voce da contralto: pareva avesse paura d’essere ascoltata da qualcuno. Mi innamorai appassionatamente e stupidamente; l’indefinibile atmosfera di mistero che la circondava mi aveva profondamente incuriosito. Mentre stava per andar via, cosa che fece quasi subito dopo cena, le domandai se potevo farle visita. Per un secondo esitò, guardandosi intorno per vedere che non ci fosse nessuno accanto a noi, e infine disse: “Sì, domani alle cinque meno un quarto”.
Pregai Madame de Rastail di parlarmi di lei, ma riuscii a sapere soltanto che era vedova e con una magnifica casa in Park Lane. Quando un tedioso uomo di scienza cominciò una dissertazione sullo stato vedovile, sostenendo la tesi che il legame matrimoniale si prolungava oltre la morte, lasciai il salotto e me ne tornai a casa.
Arrivai a Park Lane il giorno seguente esattamente nell’ora indicatami, ma il maggiordomo mi disse che Lady Alroy era uscita da poco. Andai allora al mio circolo molto infelice e perplesso. Dopo una lunga riflessione le scrissi una lettera con la richiesta di rivederla in un altro pomeriggio. Per diversi giorni non ricevetti alcuna risposta, ma finalmente mi fu recapitato un biglietto in cui ella mi diceva che sarebbe rimasta a casa domenica alle quattro.
C’era anche questo strano proscritto: “La prego, non mi scriva più. Gliene spiegherò a voce il motivo.” La domenica mi ricevette e fu davvero incantevole con me; ma al momento di accomiatarmi mi pregò, nel caso avessi voluto scriverle ancora, di indirizzare la lettera alla signora Knox presso la biblioteca Whittaker in Green Street. “Ci sono delle ragioni”, mi disse, “che mi vietano di ricevere posta in casa mia!”
Nel corso della stagione mondana la vidi molte volte, e sempre circondata da un alone di mistero. Talora pensavo che fosse dominata da qualcuno, ma appariva così inaccessibile che non potevo crederlo. Non era facile trovare una spiegazione al suo comportamento perché era simile a certi strani cristalli che si vedono nei musei: ora sono limpidi, ora sono opachi. Andò a finire che decisi di chiederla in moglie: ero esasperato e stanco dalla costante segretezza che imponeva ogni mia visita e alle poche lettere che le mandavo; le scrissi presso la biblioteca chiedendole di incontrarla il lunedì seguente alle sei. Rispose che mi avrebbe ricevuto e io fui al settimo cielo.
Ero pazzo d’amore, nonostante il mistero che circondava Lady Alroy, pensavo allora… a causa di quel mistero, sostengo oggi. No! Era proprio la donna che io amavo. I suoi segreti mi turbavano, mi facevano ammattire. Perché mai il destino mi aveva posto sulla sua strada?”
“E ora l’hai scoperto?”, gli chiesi.
“Temo di sì”, mi rispose. “Giudicane tu stesso”.
Quando giunse quel lunedì, pranzai da mio zio e verso le quattro io mi trovavo in Marylebone Road. Come sai mio zio abita in Regent’s Park. Volevo raggiungere Piccadilly, e attraversai, per abbreviare il percorso, un ginepraio di viuzze malfamate. All’improvviso vidi davanti a me Lady Alroy, fittamente velata, che camminava di buon passo. Arrivata all’ultima casa della via, salì i pochi gradini, aprì con una chiave la porta ed entrò. “Ecco il mistero”, dissi a me stesso e presi a esaminare la casa. Sembrava una modesta pensione. Sui gradini davanti al portoncino c’era un fazzolettino che le era caduto. Lo raccolsi e me lo misi in tasca e poi riflettei su cosa fare. Giunsi alla conclusione che non avevo il diritto di spiarla e mi recai al circolo. Alle sei mi presentai a casa sua. Era sdraiata sul divano; vestiva un abito da pomeriggio di lamè d’argento chiuso da strani fermagli di pietra di luna. Fu gentilissima. “Come sono lieta di vederla!”, mi disse. “Non sono uscita in tutta la giornata.” La fissai stupefatto, trassi il fazzolettino dalla tasca e glielo porsi. “Le è caduto questo pomeriggio in Cumnor Street”, dissi con molta calma. Ella miguardò terrorizzata, ma non osò riprendere il fazzoletto. “Che cosa faceva in quel luogo?”, le chiesi. “Che diritto ha di interrogarmi?”, rispose. “Il diritto di un uomo che l’ama”, risposi. “Sono venuto a chiederle se vuol diventare mia moglie.” Lei nascose il volto tra le mani e scoppiò in lacrime. “Deve dirmi tutto”, continuai. Lady Alroy si alzò e guardandomi negli occhi disse: “Non ho niente da dirle, Lord Murchinson”. Allora gridai: “C’era un uomo ad aspettarla, ecco il suo mistero!”. Impallidì mortalmente e rispose: “Non mi aspettava nessuno!”. “Perché non mi dice la verità?”, esclamai. “Gliel’ho detta”, rispose. Mi sentii impazzire e non riuscii più a dominarmi; non ricordo le mie parole, ma le dissi cose terribili e finalmente mi precipitai fuori da quella casa. Il giorno seguente mi scrisse una lettera che rispedii senza aprirla e partii per una crociera in Norvegia insieme ad Alan Colville. Dopo un mese, di ritorno in Inghilterra, come prima cosa lessi sul Morning Post la notizia della morte di Lady Alroy. Aveva preso freddo all’opera ed era morta di polmonite cinque giorni dopo. Mi chiusi nel mio dolore e non volli vedere nessuno per molto tempo. L’avevo amata tanto, alla follia. Dio! Quanto l’avevo amata!”
“Non sei tornato in quella strada, in quella casa?”, domandai.
“Sì”, mi rispose. “Sono andato tempo fa in Cumnor Street. Non sono riuscito ad impedirmelo: ero torturato dal dubbio. Ho suonato e mi ha aperto una donna dall’apparenza rispettabile; le ho chiesto se aveva qualche stanza da affittare. “Sì, signore ce n’è una col salottino che è libera. Non vedo la signora che l’aveva presa da più di tre mesi, la pigione è scaduta e quindi potrei darla a lei.” . “Questa signora?”, le ho chiesto mostrandole una fotografia di Lady Alroy. “E’ proprio lei, sicuro!”, ha esclamato la donna. “Quando tornerà signore?”, “La signora è morta”, ho detto. “Spero non sia vero!”, ha detto la donna, “era stata la mia migliore inquilina e mi pagava tre ghinee alla settimana solo per sedere nel salotto ogni tanto.” “Incontrava qualcuno?, le ho chiesto, ma la donna mi ha assicurato di no e che era veramente andata sempre sola e non s’era mai visto nessuno. Allora le ho esclamato: “Che diavolo faceva qui dunque?”. “Sedeva semplicemente nel salotto, leggeva qualche libro e qualche volta prendeva una tazza di te”, ha risposto la donna. Non sapevo più che cosa dire, le ho dato una sovrana e me ne sono venuto via. Adesso dimmi tu che cosa pensi di questa storia. Credi che quella donna abbia detto la verità?”
“Sì. Lo credo.”
“Allora perché mai Lady Alroy andava in quella casa?”
“Caro Gerarld”, risposi, “Lady Alroy aveva semplicemente la passione di circondarsi di mistero. Aveva preso in affitto quella stanza per il piacere di andarci tutta velata immaginando così di essere l’eroina di un romanzo. Aveva una passione per i segreti, ma era semplicemente una Sfinge senza enigmi.”
“Lo credi proprio?”
“Ne sono certo”, risposi.
Lord Murchinson trasse di nuovo l’astuccio di marocchino, lo aprì e fissò la fotografia. Dopo una lunga pausa, disse: “Devo crederlo?”.
E noi dobbiamo crederlo? Non è implausibile che qualcuno cerchi di circondarsi di mistero, nei casi più banali per nascondere i propri limiti, in altri casi per non farsi disturbare. Il mistero a volte nasconde i giocatori, a volte i timidi.
A volte il mistero si svela lentamente come dice la sua etimologia, a volte è una scusa per non pagare dazio.
Si tratta del mistero nelle religioni e negli esoterismi, ma talora qualcun se ne approfitta.
Lady Alroy desiderava forse sfuggire l’ambiente dei convenevoli vittoriani del suo tempo, forse è lo stesso Osca Wilde che si nasconde dietro il velo della signora che scendeva dal coupè giallo.
Forse ognuno di noi qualche volta sceglierebbe di fare come Lady Alroy, andandosene dalla folla e dai folli, dai normali e dai vincenti, dai lamentosi e dagli equilibrati, dai narratori e dagli afasici, dagli approssimativi e dai precisini, dai permalosi e dagli invidiosi, ma soprattutto lontanissimo dai superbi (la superbia, come insegnava Gregorio Magno è padre e madre di tutti i vizi).
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1 Comments
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Se Lady Alroy e’ una donna che non si e’ fatta conoscere, svelare,ed e’rimasta nel mistero , nel ” non conosciuto ” ,nell’ immaginario, rimane comunque desiderata.
Meglio Lady Alroy o Gretta , che Gabriel, nell’ episodio ‘”I morti” di James Joice [ Gente di Dublino ] scopre,dopo lunghi anni di matrimonio,non essere la moglie che pensava, e lui stesso non essere stato il marito ideale ?
Dolorosa scoperta di Gabriel !”La mia stessa identita’ perdeva sostanza ” dice disorientato verso la fine dell’ episodio.
Meglio allora sapere , o non sapere ….
Lenta e difficile e’ la conoscenza di ”se stessi” ma molto piu’ complessa quella di chi ci sta difronte, dell’ alter ego”