Inception, inizio, partenza, alba, decollo per l’ignoto
Il gioco di specchi dentro la memoria è fonte di sogni.
Cobb-DiCaprio è incaricato di spezzare un monopolio entrando nell’attività onirica del figlio di un magnate che sta morendo. Tempi nostri, quando nani morali senza volto spostano impunemente capitali reali o spesso virtuali fregandosene delle conseguenze economiche e sociali di persone e genti.
La ritmica del film è forsennata, con un consulente freudian-lacaniano seduto accanto alla poltrona di regia di Nolan. Si vedono accadere in contemporanea tre quattro eventi -scollegati dalla logica e dalla causalità aristotelica- agli stessi protagonisti: una battaglia nella neve, un pulmino che cade in acqua, un galleggiamento in assenza di gravità, un dialogare con chi non c’è più.
E il viaggio a ritroso verso casa, con un Michael Caine che accoglie il figlio vedovo (Di Caprio), nonno sapiente, che gli ha custodito i bambini.
I protagonisti si svegliano sul 747 che i porta da Sidney a Santa Maria de los Angeles. Il figlio del magnate ha trovato in sogno il testamento del padre, che è una girandola di carta, gioco di bimbo, e uno scritto dove il vecchio lo invita a seguire la sua vocazione.
Si tratta di un inizio, nuovo come tutti gli inizi, incipit, inceptions, inceppamenti, balbuzie.
Un inizio è meglio piuttosto che la strada in discesa asfaltata già tracciata da altri.
Un nuovo inizio come quello della nascita, fisica o spirituale, come quello di Gesù di Nazaret che spiega Mosè ai sapientoni del tempo, dicendogli che non avevano capito.
Ogni alba è un inizio nuovissimo e unico, prezioso della verità del presente. Dell’unico tempo vero.
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