Linguaggi telematici
Gli sms scritti sui cellulari sono necessariamente brevi, per la limitata capienza, a volte sono criptati, qualcuno sceglie di scrivere quasi solo le consonanti come in ebraico classico. Sono un genere letterario già studiato nei dipartimenti universitari di Lettere moderne. Usati scriteriatamente sono delle mazze scagliate contro i neuroni del malcapitato ricevente.
Le e-mail sono anch’esse un nuovo genere letterario: molti ne ignorano la potenza comunicativa e la contemporanea debolezza relazionale, e le usano come martelli nella psiche degli altri; nelle aziende si usano spesso le comunicazioni interne quasi in sostituzione delle relazioni interpersonali, sottovalutando l’impoverimento della comunicazione e soprattutto della relazione intersoggettiva. Qualcuno addirittura usa le e-mail per esprimere giudizi o adoperando espressioni improprie, senza pensare che ciò che entra nel web è quasi indelebile.
Ora tra i social network spopola twitter, il cinguettio che ti obbliga a un numero limitatissimo di battute, ed è diventato una moda, da Obama in giù, o in parte.
E poi c’è il discorso espressivo. Quando si scrive la e-mail, di solito si esordisce con “ciao“, una volta nelle lettere cartacee si scriveva “caro, cara“, senza che questo termine avesse alcunché di melenso o di troppo coinvolgente. Era come dire “mi rivolgo a te, proprio a te, con attenzione specifica“.
Io insisto a scrivere “caro” e continuo a ricevere dei “ciao“.
Un giorno o l’altro risponderò che “ciao”, –se messo lì– è un saluto banale, che deriva dal veneto “scjavo“, cioè schiavo, servo tuo, e quindi nel contesto forse veramente melenso, altro che “caro“.
Un saluto oggi molto usato più banale di ciao è “salve“, che è addirittura quasi cretino. Dico “quasi”, ma per il senso di qualunquemente che dà a me, non per la sua etimologia latina, nobilissima.
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Ave Renato,
‘salve’ non lo trovo cretino come saluto, viene dal latino ‘salus’ che, come tu mi insegni (questo invece l’ho sempre trovato un inciso piuttosto cretino e ipocrita, quindi lo metto scherzosamente), significa ‘salute’ ed è quindi un affermare qualcosa che si pensa si possa avverare per il solo fatto dui averlo enunciato. Formale e asettico, questo decisamente, ma il suo uso spesso mi toglie dall’imbarazzo quando, con chi conosco appena, il buongiorno è ancora più formale e il ciao lo è troppo. Mandi male e il ciao lo è troppo.
Mandi