Sono rare le parole che valgono più del silenzio
…ha scritto Henri de Montherlant, ricordato da Francesc Torralba Roselló nel suo Volti del silenzio (ed. Qiqaion, Bose 2012), mentre Emily Dickinson cantava così:
“C’è una solitudine nello spazio,/ una solitudine del mare,/ una solitudine della morte,/ ma queste non sarebbero che una folla/ comparata a quel luogo profondo,/ quella polare segretezza,/ di un’anima ammessa al proprio cospetto./ Finita infinità.”
E io, sommessamente:
“Aspri e ventosi giorni/ e solitudine,/ strade deserte di paese,/ il cuore è in pena/ per serate ignave.”
(da In transitu meo, ed. Chiandetti, Udine 2004, p. 9),
e, in Elegia
“Gatti sonnecchianti nel meriggio antico/ d’un giorno di tardo inverno,/ altri colori, altre leggende in sogno/ nel paese invecchiato, altre parole./ Catine morta da poco./ Il paese ha connotati esausti,/ un rifugio impallidito col tempo:/ le voci, mia madre i morti e i campi,/ e la scansione più lontana dell’infanzia./ Le parole odorano d’un basso/ orizzonte di castagne acerbe./ Il vento va qua e là,/ e le ombre.”
nota: Catine era la mia nonna materna, Caterina, figura fondamentale fin dalla mia infanzia.
(Ibidem, p. 10)
Come ho scritto qualche tempo fa ho bisogno di silenzio, troppe voci mi tontonano nelle orecchie, troppe, troppe parole, troppe parole in libertà, troppo tutto. Troppo spreco. Sobrietà invoco, invoco e cerco in ogni movimento.
Mi piacerebbe sentire la “voce del silenzio sottile“, la qôl demamah daqqah percepita dal profeta Elia vicino al Sinài, lì il Signore si era fatto percepibile… come con Mosè.
E poi mi consolo leggendo del cosiddetto ”effetto Flynn”, da James Flynn, filosofo e neuroscienziato, che sostiene come l’intelligenza umana si possa nutrire dell’ambiente e della misura qualitativa delle relazioni. La genetica è importante, ma anche di più l’ambiente e le condizioni esistenziali in cui uno nasce e cresce. In cui uno lavora e studia, come e dove si confronta. Un’antropologia del divenire: bellissima!
Per questo è importante sapere il valore del tempo e come usarlo. Il presente che si affaccia dal futuro in continuum.
E concludo il post con un sublime balbettio di Andrea Zanzotto, che scrisse poco prima della sua morte, tratto da Haiku for a season (The University of Chicago Press, a cura di Anna Secco e Patrick Barron):
“Thin voices, bewildered bees and hopes/ everything dreams of other journeys/ everything returns in little thick cuts.”
(Voci sottili, sconcertate api e speranze/ tutto sogna di altri viaggi/ tutto ritorna in piccoli fitti tagli.)
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