Libertà, incertezza e ricerca
Che bello lo spazio della ricerca, della critica, della navigazione anche impervia lungo le rotte del pensiero.
Salvatore Veca ne parla in L’immaginazione filosofica e altri saggi (Feltrinelli), proponendo l’itinerario della riflessione come un girovagare sistematico nell’incompletezza, nell’incompiutezza e anche nell’incertezza, pur essendo la verità meta sempre agognata.
Ma una verità come irradiarsi parziale e luminescenza rapsodica, intermittente, di una chiarità delle cose e dei concetti, e della loro corrispondenza, come un’interpretazione infinita, una philosophia perennis.
Un apparire e uno scomparire dell’essere (Bontadini e Barzaghi) dall’infinita presenza dell’Essere (Parmenide) si presentano alla nostra attenzione conoscente, ad ogni istante, in ogni dinamismo dell’anima, in ogni relazione interumana.
Un Essere, in sé e per sé inconoscibile, si manifesta nel divenire del tempo percepito come dimensione smisurata e immensa.
Un Tao che è specchio capace di tenere tutto senza trattenere nulla, capace di accogliere ogni parola nel suo silenzio infinito.
Lo Yin e lo Yang che indefinitamente ed eternamente si ricompongono nell’alternarsi e fondersi delle loro polarità.
L’essere che prende dimora nell’anima svuotata (Iohannes M. Eckhart) di tutte le inezie, storture, minuzie, invidie, senso di possesso della vita corrente.
Allora è necessario darsi il tempo che richiedono i lobi prefrontali, non lasciando tutto questo dominio al sistema limbico.
O a chi gestisce l’autorità, come ai tempi di fra’ Giordano Bruno, che qui ricordo con ammirazione e rispetto.
L’autorità si declina spesso, non come sistema di sviluppo, dato dalla sua etimologia latina (augeo, es), ma come prevaricazione, distacco relazionale, assopimento delle facoltà cognitive e deliberative, narcisismo fors’anche a volte un poco psicotico (cf. “ritorno in campo di Berlusconi”) e invece dovrebbe coniugarsi alla pazienza dello sviluppo logico, alla fatica necessaria dell’argomentazione, all’accettazione del cambiamento, del rinvio, della rinuncia.
In tal modo l’autorità declina verso la sua deformazione autoritaria, simile a quella dei giudici del frate nolano.
Il piccolo frate domenicano che, negletto a Oxford e alla Sorbonne, fu accolto a Wittemberg (nel 1587), dove una cinquantina d’anni prima insegnavano frate Lutero e Melantone, era un uomo orgoglioso, ma non arrogante, era un uomo fiero della sua ricerca, ma non convinto di avere sempre ragione (cf. Bruno G., Opere lulliane, ed. diretta da M.Ciliberto, a c. di M. Matteoli, R. Sturlese, N. Tirinnanzi, Adelphi, Milano 2012). La sua ricerca era infinita come infiniti sono li mondi.
Non c’è contrasto fra la tensione nella ricerca della verità in Aristotele e Tommaso, e l’inquietudine di chi constatò la stanchezza del pensiero accademico qualche secolo dopo, e cercò di rinnovarne i metodi, proponendo tutta la fatica della discussione dialogica e dell’investimento empatico; tutta la difficoltà del “dire molto e con varietà d’espressione, come segno di una prossimità, sostanziale e non solo virtuale, alla natura e al tutto“.
Dai maestri greci a Pareyson e Jaspers, passando per Bruno e finendo qui nelle mie brevi considerazioni e in mille altri luoghi del pensiero nel mondo, il lumen veritatis splende nello sfondo del nostro cammino, attendendo che abbiamo la fortezza e la paziente resistenza per avvicinarci, senza mai raggiungerlo, se non in Dio stesso, quando sarà il momento, imperscrutabile, liberamente da Lui definito ab aeterno.
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