La mano e la mente
Sappiamo dai neuropaleoantropologi che la conformazione prensile della mano e il progressivo ergersi nella stazione eretta ha portato l’animale uomo a diventare quella “bestia che è“, intelligente, autocosciente e (im)morale.
Ora, anzi da qualche decennio questo signor homo sapiens sapiens sta sostituendo progressivamente il lavoro manuale con automazioni, servoassistenze, informatizzazione e così via… Buone cose che stanno riducendo radicalmente (quasi annullando) la fatica fisico-muscolare, e velocizzando molti processi, anche noiosi e a volte stupidi.
Ma c’è un pericolo, come bene scrive Richard Sennett ne L’uomo artigiano (Campi del Sapere, Feltrinelli, Milano 2008), quello di una progressiva perdita di contatto con la realtà delle cose.
Esaminando varie attività egli si sofferma ad esempio sulla progettazione architettonica, nella quale l’ausilio dei sistemi CAD (Computer Aided Design), mentre aiuta a predisporre i disegni e i piani per l’attuazione degli edifici e degli spazi urbani, non avendo un contatto vero, corporeo, con la realtà esterna, rischia di favorire una costruzione razionalissima, ma astrattamente sganciata dai microclimi e dalle culture umane locali.
Fa l’esempio, Sennett, della progettazione del Peachtree Center di Atlanta ideato dall’architetto John Portman e altri. Gli edifici in vetro-cemento sono luminosi, con citazioni rinascimentali e barocche, tipiche di certi americanismi postmoderni, ascensori vetrati che scorrono esternamente ai quaranta piani dell’albergo più alto, ma c’è qualcosa che non va. Si percepisce come uno scollamento tra simulazione informatica e realtà, dato dalla impraticabilità di certe soluzioni urbanistiche: scrive Sennett “(…) le strade sono fiancheggiate da eleganti caffè con i tavolini sul marciapiedi: però la simulazione non ha fatto i conti con l’intensa calura della Georgia: nella realtà, per gran parte dell’anno i tavolini esterni rimangono deserti dalla tarda mattinata fino al tardo pomeriggio. La simulazione è un surrogato imperfetto del giudicare in loco sui sensi della luce, del vento e del calore (cit., p. 49)”.
Infatti il computer non può sapere dove saranno collocati gli edifici che sta servo-progettando! Emerge un problema nuovo, che non è un portato del disegno a mano, cui lo stesso Renzo Piano sta ritornando per le sue opere più importanti, l’iperdeterminazione. Si tratta della pretesa di prevedere tutto, negando la benché minima possibilità all’indeterminatezza, a un utilizzo potenzialmente ambiguo o ambivalente degli spazi, a una possibilità interpretativa dell’uso degli stessi, all’imprevedibilità insita nell’agire umano libero in relazione agli spazi.
E’ come se la mente servoassitita si fosse staccata dalla mano, avesse divorziato dallo strumento vivente che ne ha favorito lo sviluppo ontogenetico.
Come si può ben capire, in questo divorzio è la testa a soffrire. Si parla allora di un ritorno a un sapere incarnato (embodied knowledge), a un lavoro che ha da essere concepito al modo degli artigiani-artefici-artisti dell’antica Roma, delle cattedrali gotiche e del Rinascimento.
E qui Sennett porta un altro esempio: (…) trovandomi una volta al Peachtree Center, ebbi modo di osservare con particolare attenzione i suoi parcheggi a silo. All’estremità di ogni posto macchina era fissata una barra paraurti di tipo standard, che sembrava liscia; ma lungo l’orlo inferiore il metallo era tagliente e poteva graffiare la carrozzeria o le caviglie degli utenti. In alcuni paraurti, però, il bordo era stato ripiegato all’indietro per sicurezza. La discontinuità della piegatura dimostrava che l’intervento era stato fatto manualmente, martellando e smussando il metallo nei punti in cui era più facile farsi del male sfiorandolo; l’artigiano aveva usato la testa al posto dell’architetto (cit., pp. 50-51).
Razionalità e buon senso non possono separarsi, ma li può tenere insieme solo l’accettazione che la realtà è, in sé, irriducibile a qualsiasi schema meramente numeristico e convenzionale, poiché infinitamente sfugge con le sue sfumature, intersezioni, connessioni, complessità e variabilità, cui l’uomo deve attendere con tutte le modalità conoscitive che gli sono proprie: l’analisi quando serve, la sintesi dopo l’analisi, la dialettica quando vi sono opinioni diverse, l’analogia quando si tratta di comparare. Beninteso senza buttar via alcuna buona tecnologia innovativa, ma curando di non farsi da essa dominare.
Allora la mano e la mente si riconciliano.
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