Cultura e profitto
Nei corsi per manager propongo spesso prospettive teorico-pratiche di carattere filosofico, etico e addirittura teologico, e incontro in queste persone sempre un grande interesse.
Si tratta solo di un apparente paradosso. Parlare di un’analogia possibile tra la struttura antropologico-morale delle virtù in Platone, Aristotele, Agostino, Gregorio Magno, Tommaso e Kant e i principi etici, organizzativi e gestionali di un’azienda, provoca o trova un’attenzione curiosa in capi-azienda, economisti e ingegneri.
Per questo condivido l’opinione di John Armstrong che recensisce sul Sole 24 di oggi un libro della carissima filosofa americana Martha Nussbaum (già qui ho parlato di questa studiosa), Non per profitto (Il Mulino, Bologna 2012).
Nel titolo Nussbaum sembra operare una netta contrapposizione tra “cultura” e “profitto“, una cesura, una contrapposizione, ma poi nel testo la sua riflessione porta altrove. E conduce, com’è ragionevole che sia, su un territorio, non solo di convivenza tra la dimensione della “cultura” e la dimensione del “profitto“, ma che addirittura auspica un sempre maggiore dialogo tra i due “ambienti” concettuali e operativi.
Quando Martha Nussbaum afferma che “(…) le discipline umanistiche insegnano a pensare criticamente, a usare l’immaginazione, a essere compassionevoli e trasformano gli individui in cittadini globali, ossia in persone capaci di una visione d’inseme del mondo (…)”, implicitamente ammette la funzione della cultura nell’organizzazione economica e nella stessa politica.
Più avanti scrive: “Classe sociale, fama e prestigio non contano nulla, mentre l’argomentazione è tutto“. Quanto d’accordo sono, e non per intellettualismo elitistico, ma perché solo il risultato della ricerca conta, costituisce un valore che si aggiunge, fa crescere. E questo vale anche in economia. La cultura umanistica, antropologica, filosofica e psicologica, aiuta le organizzazioni a funzionare meglio, a dare valore ai processi e ancora di più alle persone che questi processi conducono.
Quanto sopra è però ancora più importante in questa fase nella quale i governi delle nazioni egemoni “(…) considerano l’educazione soprattutto come un mezzo per una crescita economica continua, sia da parte degli studenti, (e dei loro genitori che spesso influenzano le scelte dei figli), i quali vogliono aggiudicarsi la loro parte -e forse anche un po’ di più- di quella crescita“, chiosa recensendo Nussbaum, John Armstrong.
In realtà, concorda Armstrong con Martha (e condivido io pure da qui), non è possibile immaginare un’economia profittevole se ci si basa solo sul tecnicismo, sull’efficienza fine a se stessa e sul normativismo: in etica si direbbe utilitarismo-deontologismo-prescrittivistico.
Occorre invece lasciar respirare l’anima e la mente, poiché altrimenti la “banalizzazione” dei processi, prima mentali, e poi tecnicali, prenderà sempre più piede. Per quanto mi riguarda, raccomando sempre di darsi il tempo del ragionamento discorsivo e pacato sulle varie questioni che sorgono e sui problemi che si pongono. L’approccio che incontro è invece, assai spesso, quello dettato da una perfin lugubre ansia da prestazione (con aggrottamenti di sopracciglia e cipigli inutili, perché inefficaci, e consumatori di energie preziose), da risentimenti personalistici, permalosità e incapacità di ascolto.
Le discipline umanistiche, continua Armstrong, “(…) aiutano ad affrontare problemi personali, (…) emozioni, a delineare una corretta visione del mondo e di se stessi nel mondo“.
Sono convinto che esse devono coinvolgere sempre più persone in tutti gli ambienti, avvicinando un pubblico sempre più diversificato per anagrafe e funzioni culturali, sociali e professionali.
Non è vero che la sottigliezza intellettuale, l’eleganza formale (che è sostanziale, come è noto), l’attenzione alla logica argomentativa e la nobiltà dello spirito, sono cose elitarie e separate: sono l’ambiente in cui ciascuno si può ritrovare per rischiarare il proprio pensiero insieme con le altre persone che incontra.
Lo dico come consulente di aziende importanti, di associazioni e di imprese piccolisssime, di singole persone e di entità volontaristiche, lo dico come studioso e formatore, e infine anche come Vicepresidente di Phronesis, Associazione Italiana per la Consulenza filosofica, che questi temi si pone da tutta la sua decennale storia e che ritiene questo il momento opportuno, kairologico, per rilanciarli.
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