La rinuncia
“Ingravescente aetate (essendo la mia età avanzata) non riesco a fare bene il lavoro che il ministero petrino richiede, e perciò rinuncio, per il bene della Chiesa e del Popolo di Dio“.
Si può sintetizzare così la dichiarazione in latino formulata ieri da Benedetto XVI, secondo l’art. 332 del Codice di Diritto canonico vigente dal 1983.
Le ragioni di una scelta così inusitata, quasi inaudita, si possono cercare in molti ambiti, sia attinenti alla stessa persona di Joseph Ratzinger, sia agli ambienti curiali e alla struttura stessa della Chiesa cattolica nelle sue articolazioni locali.
La sofferenza del Papa era evidente da tanto tempo, presente fin dalla meditazione del Venerdì Santo del 2005, quando il suo predecessore lo stava ascoltando appoggiato al Crocifisso come a un bastone, e viveva i suoi ultimi giorni terreni.
L’allora cardinale Ratzinger parlò di “sporcizia nella Chiesa“, evocando forse una lontana preoccupata riflessione di Papa Montini.
Nel 1977 Paolo VI aveva parlatò di “fumo di Satana” presente all’interno della Chiesa, e qualcuno disse che anche quel papa meditava di ritirarsi. Poi rimase al suo posto e visse la tragedia di Moro fino in fondo, morendo qualche mese dopo.
Ora qualcuno paragona il “sacrificio“di Wojtyla alla rinunzia di Ratzinger, in qualche modo cogliendo i due aspetti dell’endiadi wojtiliana (per molti, ossimorica) “Fede e Ragione“, interpretata diversamente dai due, dal primo fino alla fine come “atto di fede“, e testimonianza del dolore umano, dal secondo decidendo di andarsene, “secondo ragione“, per affidarsi alla preghiera, e lasciando ad altri la grave incombenza della gestione spirituale e “politica” della Chiesa di Roma.
Che papa Benedetto abbia sofferto di molti fatti accaduti sotto il suo pontificato è fuori di dubbio. A volte è parso come “lasciato solo“, come dopo il discorso di Ratisbona.
Ma che la sua decisione sia dolorosamente soggettiva è fuori di ogni dubbio.
Il Papa ha dato una lezione grandiosa di umiltà e di accettazione filosofica ed etica del limite umano, un’accettazione del passare del tempo (ingravescente aetate!), un esempio di come sarebbe bene cogliere l’insegnamento biblico di Qoèlet (cap. III), là dove l’autore antico incalza il lettore dicendo che c’è un tempo per ogni cosa, non tutti i tempi (e tutte le persone) per ciascuna cosa. In questo, anche attento lettore di maestri antichi come Seneca e Cicerone, che ritenevano la vecchiaia -di per sé- una malattia, senectus ipsa est morbus.
La teologia che Ratzinger ha sempre frequentato lo ha aiutato in una decisione del genere, quando lo studio diuturno su Dio permette di cogliere i limiti dell’uomo, in un’antropologia realista e concreta.
Ahi, se la politica imparasse qualcosa da questo gesto!
Benedetto XVI ha anche detto implicitamente che la Chiesa è maculata et immaculata nel contempo, senza nascondere nulla di ciò che di umano le appartiene, dichiarandosi non più adatto a governarla nelle gravi traversie attuali, e auspicando che venga chi la possa portare avanti nel tempo, convinto di aver rappresentato un passo nel suo bimillenario cammino storico e verso la pienezza dei tempi di cui parlano le Scritture.
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