Il Vuoto e l’Assenza
A volte sembrano intesi come sinonimi, il vuoto e l’assenza. Ma non lo sono, perché “vuoto” significa vacuità, spazio-dove-non-c’é-alcunché, e va accettato almeno come concetto, anche se sotto il profilo fisico e metafisico si dà come “puramente teorico“.
Infatti non vi è il vuoto, che risuona invece, nella sua verità, come parola, come lògos: in logica e in lessicografia il vuoto, dunque, c’è.
Ciò comporta una riflessione ulteriore: su ciò che si intenda oggi quando si usa la parola “vuoto“, ad esempio quando la sia annette a una certa “mancanza di valori“. Forse in certi ambienti o ambiti questo può essere vero, anche se non mai assolutamente.
Ma io preferisco parlare di “assenza“, e qui l’apparente sinonimia dei due termini finisce e viene colta nella sua falsità.
“Assenza” vuol dire situazione di “presenza alla mente e di attesa” nel contempo: è come se la sedia vuota lasciata da mio padre che non c’è più, continui a raccontarne la presenza. Ed è vero, perché la sua figura fisica, oramai da molti anni “assente” mi parla ancora, e sempre di più, molto di più forse di quando, io bambino e adolescente, lo vedevo partire per dieci mesi all’anno verso la Germania, e di lui erano solo le lettere che scriveva a mia madre. Ma il suo esempio-assente mi ha costituito, i suoi princìpi semplici ed essenziali mi hanno fatto così-come-sono, pieno di difetti, ma anche di forza.
La sua era, non un “vuoto“, ma una presente-assenza. E così è anche quella di mia madre, con i suoi silenzi, le sue accettazioni, i suoi sguardi comunque fiduciosi che “mi sarei salvato“.
E così, oggi, possiamo dire che non c’è un “vuoto di valori“, ma una sorta di “assenza-che-sta-in-attesa” di…
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