Inoltrarsi e in-altrarsi
Caro viandante, la dies dominica (non il week end, c.!) suggerisce pensieri:
voci, immagini, volti e suoni ci vengono incontro nelle nostre vite. E noi stessi ci inoltriamo nel tempo e nello spazio, spostandoci, operando, programmando, accettando il limite, sbagliando, offendendo, aiutando, facendo piangere e ridere, ridendo e piangendo, difendendoci e accogliendo.
Con le nostre poche forze, con la nostra fallibilità e grandezza.
A volte ci sentiamo soggetti come oggetti, cioè “gettati fuori” (cf. in M. Heidegger, Sein und Zeit, Essere e tempo, 1927) altre volte riusciamo, ma è raro, quasi a “in-oggettivarci” (cf. in Antonio Rosmini, Teosofia, Stresa 1850), uscendo da noi stessi, e mettendoci nei panni altrui.
L’inoggettivazione, direbbe Antonio Rosmini, è molto di più che un “inoltrarsi” nel mondo, nel tempo e nello spazio, perché è un “in-altrarsi“, un diventare-altro-da-sé, che nulla ha a che fare con la schizofrenia o con qualche altro delirio psicotico.
L’in-altrarsi è la stessa Relazione trinitaria Padre-Figlio-Spirito, come spiega Agostino nel Libro Ottavo del De Trinitate: il respiro amoroso di Dio dentro Dio.
Ma è difficile, perché noi siamo “contenuti” nell’involucro dell’io, centralissimo ganglio dell’universo, inesaudibile principio di identità, inesauribile fomite di egoismo, autoreferenzialità e perfino egolatria.
Io, io, io, e nessun altro. Anche se abbiamo il dovere/diritto di difendere questo nostro “io”, perché esso costituisce il solo punto di riferimento per ogni re-lazione, per ogni in-altramento.
Non possiamo in-oggettivarci se non percepiamo noi stessi come soggetti-oggetti primari della nostra cura e attenzione, pena la confusione e il disfacimento dell’io stesso che si/ci costituisce nella relazione.
Post correlati
0 Comments