Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Definizioni, determinazioni, pigrizie mentali

Ascoltiamo quotidianamente cose che ci dicono molto della “natura umana“, ma a volte non stiamo attenti, preferiamo lasciar perdere, specialmente quando chi parla è potente, e potrebbe infastidirsi delle precisazioni, ritenendole pedanteria fastidiosa e noiosa.

Come quando si parla del tempo come dimensione esistenziale e fisica. Oppure metereologica: ognuno si imprigiona da solo nello stereotipo del caldo/freddo o del-tempo-che-passa. Ineluttabili tutte e due (o tre) le dimensioni, e perciò immeritevoli di commenti.

O quando si parla della responsabilità. Ne I fratelli Karamazov troviamo una frase: “Ognuno di noi è responsabile di tutto e di tutti davanti a tutti, e io sono più responsabile degli altri“. Gianfranco Ravasi ne parla (Cf. Il Sole 24 Ore, inserto cultura, 24 Febbraio 2013), citando Lévinas, e un commento alla tesi biblica della solidarietà totale nel male (il peccato originale). I profeti Geremia ed Ezechiele ripetevano “I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati“. Ogni nostra azione lascia, come goccia, una traccia nella storia degli uomini, onda che si stacca dal punto del sasso lanciato in acqua e si allontana dagli astanti fino all’altra sponda.

Se dico, come al-Ghazali (Abu Hamid Mohammed Ibn Mohammed al-Tusi al-Ghazali, nato a Tus, oggi Iran orientale nel 1058, morto nel 1111, forse), di essere un “mendicante di Dio“, consapevole della finitezza mia e degli altri, un tale si ritaglia parte in commedia citandomi come umanista. E’ successo in una riunione aziendale un paio di giorni fa.

La parte in commedia era di mostrare come si gestiscono uomini, certamente non con la partecipazione, l’ascolto e la condivisione, come predicherei io, il (sapiente, sottinteso ironico) dottor Pilutti, bensì al contrario.

Oppure ancora con l’uso degli stereotipi formulati come dimande: tutto bene? Intorno a ciò rinvio al mio precedente in isto locoDe stupiditate.

Per questo preferisco frequentare ambienti dove non si indulge molto negli stereotipi. E mi accosto a modi di concepire e parlare antichi, come quando nella nostra immensa lingua paterna, il greco, si usava…

l’aoristo (cf. Wikipedia: dal greco ἀόριστος χρόνοςtempo non-definito“), che è un “tempo” verbale di lingue come il sanscrito, il serbocroato, il bulgaro e il greco classico e moderno.

Si tratta di una forma verbale che, come dice il nome stesso, si pone al di fuori della tradizionale contrapposizione tra un aspetto imperfettivo (che vede l’azione nel suo svolgersi) e quello perfettivo che insiste sul fatto che l’azione sia vista come già compiuta. L’aoristo caratterizza l’azione in sé e per sé, senza indicazioni precise di tempo o di aspetto,

così potendo lottare contro

lo stereotipo (da Enciclopedia Treccani): a. Modello convenzionale di atteggiamento, di discorso e sim.: ragionare per stereotipi. In partic., in psicologia, opinione precostituita, generalizzata e semplicistica, che non si fonda cioè sulla valutazione personale dei singoli casi ma si ripete meccanicamente, su persone o avvenimenti e situazioni (corrisponde al fr. cliché): giudicare, definire per stereotipi; s. individuali, se proprî di individui, s. sociali, se proprî di gruppi sociali.  b. In linguistica, locuzione o espressione fissatasi in una determinata forma e ripetuta quindi meccanicamente e banalizzata; luogo comune, frase fatta: parlare per stereotipi, abusare di stereotipi; in partic., sinon. di sintagma cristallizzato (v. sintagma). c. Espressione, motto, detto proverbiale o singola parola nella quale si riflettono pregiudizî e opinioni negative con riferimento a gruppi sociali, etnici o professionali.

e, in definitiva, contro la banalità e la noia.

 

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