Pietro da Barletta, il velocista
La memoria va indietro nel tempo, a Città del Messico, 1972, Universiadi, quando stabilì con una fantastica volata il nuovo record del mondo dei 200 metri piani, con 19 secondi e 72 centesimi, superando Tommy Smith (quello del pugno chiuso insieme con John Carlos sempre a Mexico City, Olimpiadi del 1968). Tempi da “Black Panthers“. L’anno degli assassini di Robert Kennedy e Martin Luther King.
E va a Mosca, 1980, quando con una rimonta pazzesca agguantò sul filo di lana Allan Wells, vincendo la medaglia d’oro alle Olimpiadi, che quell’anno furono boicottate dagli U.S.A..
E va ad altre gare, Europei, Giochi del Mediterraneo, dove Pietro aveva vinto tanto.
Va infine alla sua persona, schiva, ritrosa, perfin spigolosa. Di famiglia umile, tre lauree, un eloquio tormentato come il suo fisico normale (1, 79 m. per 72 kg.).
Parlava di sé in terza persona: “Mennea dice, Mennea pensa“.
Discretamente se n’è andato e con lui tanti sogni della mia gioventù.
Me lo sono sempre sentito affine come self made man, con la sua spigolosità, il suo modo di non essere mai scontato, i suoi silenzi.
Ciao Pietro, mio coetaneo, stai nella luce.
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