Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Lo spread

Caro lettore,

da qualche anno abbiamo sgradevolmente a che fa con questo ennesimo anglicismo, lo spread. I testi di economia riportati sul web (cf. in Wikipedia) dicono che può essere inteso come il differenziale denaro-lettera (bid-ask spread) cioè la differenza tra il prezzo più basso a cui un venditore è disposto a vendere un titolo (ask) e il prezzo più alto che un compratore è disposto ad offrire per quel titolo (bid) e per questa ragione è spesso usato come misura della liquidità del mercato; oppure come credit spread che denota il differenziale tra il tasso di riferimento di un’obbligazione e quello di un altro titolo preso a riferimento (benchmark); in questo secondo caso, ad esempio, se un BTP con una certa scadenza ha un rendimento del 7% e la corrispettiva Bundesanleihe Tedesca con la stessa scadenza ha un rendimento del 3%, allora lo spread sarà di 7 − 3 = 4 punti percentuali ovvero di 400 punti base.

Il rendimento atteso o richiesto (e alla fine offerto) può infatti salire o scendere in funzione del grado di fiducia degli investitori/creditori, a sua volta misurabile attraverso eventuali squilibri tra domanda e offerta di titoli: se l’offerta è superiore alla domanda, il rendimento atteso aumenta per tentare di riequilibrare la domanda e viceversa.

Come conseguenza, lo spread diventa dunque indirettamente, allo stesso tempo e in maniera del tutto equivalente:

  • una misura del rischio finanziario associato all’investimento nei titoli cioè nel recupero del credito da parte del creditore, essendo rischio e rendimento strettamente legati da relazione di proporzionalità: quanto maggiore è lo spread, tanto maggiore è il rischio connesso all’acquisto di titoli;
  • una misura dell’eventuale guadagno finanziario nell’acquisto di titoli rispetto a quelli di riferimento, a prezzo del corrispettivo rischio e a meno della possibile insolvenza.
  • una misura dell’affidabilità (rating) dell’emittente/debitore (ad esempio lo Stato) di restituire il credito e quindi del rischio insolvenza: maggiore è lo spread, minore è tale affidabilità e maggiore è il rischio insolvenza;
  • una misura della fiducia degli investitori nell’acquisto dei titoli: maggiore è lo spread minore è tale fiducia;.
  • una misura della capacità dell’emittente di promuovere a buon fine le proprie attività finanziarie (nel caso dello Stato di rifinanziare il proprio debito pubblico) tramite emissione di nuovi titoli obbligazionari: maggiore è lo spread, minore è questa capacità in virtù dei tassi di interesse più elevati dovuti fino a un limite massimo di sostenibilità. Nel caso dei titoli di stato, spread elevatissimi possono condurre nel medio-lungo termine alla dichiarazione di insolvenza sovrana, fallimento, bancarotta o default dello Stato oppure richiedere misure drastiche di politica di bilancio fortemente restrittive con riduzione della spesa pubblica e/o aumento della tassazione sui contribuenti per evitare il fallimento con effetto inevitabile però di diminuzione del reddito (dunque della domanda) e degli investimenti e quindi, in ultimo, ripercussioni negative sulla crescita economica.

Pare proprio di leggere quello che è successo nell’ultimo periodo in Italia (oggi siamo un poco sotto i 300 punti sul bund tedesco, uhei abbiamo staccato i bonos spagnoli, gaudium magnum!), Spagna, Grecia, Portogallo, Irlanda, sì anche nell’orgogliosa Francia nostra cara nemica, … non in Germania che può permettersi addirittura di pagare interessi negativi tanto è saldamente attrattivo il suo sistema.

Il volto del facilmente dimenticabile ministro Grilli sembra la rappresentazione dello spread, funerea e contrita come quella di un peccatore bizantino che recita l’antica giaculatoria: “Signore, Figlio di Dio Padre Onnipotente, abbi pietà di me peccatore (repetita ad libitum)”. Come san Simeone lo “stilita”. Ma la sua è forse solo attrizione, non contrizione, e quindi bisognosa di una confessione perfetta davanti a Dio, come quella degli altri politici o tecnici per modo di dire, pour l’amou de Dieu!

A me, da qualche tempo queste parole inglesi usate e abusate sui giornali e in azienda fanno sempre più effetto orticaria, se non herpes zooster, Dio me ne scampi (!): meeting, kick off, planning, start up, “Eich Aar” per dire l’acronimo H.R., cioè Risorse Umane, export manager, chief engineer, draft, release, Total Production Management, Lean organization, key account, advisor, endorsement (horribile dictu!), backup, downgrade, upgrade, team leader, … e così anglofonando.

Certo sono pratiche e le uso anch’io, sempre consapevole del fatto che sarebbe meglio non esagerare, come suggerisce l’ottimo professor Francesco Sabatini.

Però sullo spread voglio proporre un’interpretazione alternativa: a me questa parola, sapendo che molti lemmi e fonemi arcaici traggono origine dalla figura dell’onomatopea, ricorda qualcosa di molto naturale: un rumore corporeo legato al metabolismo: spread, spread, spread, mi par di sentirne l’odore.

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