Camminare a Gerusalemme
Vorrei camminare a Gerusalemme, come desiderava fare il cardinale Martini e come suggerisce Franco Cardini nel suo bellissimo Gerusalemme. Una storia (Il Mulino, 2012).
Almeno quattro giorni pieni, dall’alba al tramonto. Per poi andare anche a Betlehem e su in Galilea, in cerca del Maestro: “(…) e ora vi precede in Galilea” (Mt 28, 7b).
Jierushalaim, la Città della pace, terrena e celeste, quella antichissima dei Gebusei, e poi davidica, erodiana, romana, cristiana, musulmana, mamelucca, turca, coloniale, araba, israeliana, òmphalos toù kòsmou, centro del mondo, tomba di Adamo e luogo dell’ubbidienza di Abramo, luogo del supplizio infamante, tomba e gloriosa resurrectio di Cristo e mia, che mi chiamo così-come-colui-che- rinasce.
Un bisogno lancinante, per uscire dalla miseria mediatica del nulla fisico della politica (non cito qui, per non bestemmiare e inquinare lo spirito, gli orribili nomi di quei protagonisti senz’anima), veduto in questi giorni, e del tempo di oggi, per recuperare il respiro, il passo, lo sguardo, l’essenza dell’essere a questo mondo.
Cammino dal tempietto dell’Ascensione al culmine del Monte degli Ulivi, poi alla valle di Josafat e del Cedron.
Al Gethsemani la chiesetta della Tomba della Vergine alla Porta della Signora Maria e alla Porta Speciosa. Avanti ancora alla piscina di Bethesda, la Via Dolorosa, il Lithostratos, fino al Haram ash-Sharif e alla Fortezza Antonia. E poi dall’Anastasis alla Porta di Giaffa e al Sion. Al Santo Sepolcro.
Di lì alla sorgente di Gihon e alla piscina di Siloe prospiciente alla valle dell’Hinnom e alla Gehenna.
Il cielo sopra il biancore della pietra è di un azzurro doloroso.
Alla Porta di Damasco il mio è uno status viatoris, nel silenzio più teso dell’anima, e nella confusione della kasbah. Attorno alle mura di Solimano il Magnifico giro trovando la Porta dei Leoni.
Rallento, mi siedo, un tè seduto fuori nell’assolato.
E riprendo il cammino, guardandomi ogni tanto indietro. E dentro.
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