Gli altri siamo noi
…stamani dopo la corsa per le interpoderali un libro di Walt Whitman, Leaves of grass, (Mondadori, Milano 1971, p. 136), comprato da me quando ero in terza liceo, lasciato lì sul tavolino da Beatriz: “(…) The shapes arise/ Shapes of factories, arsenals, foundries, markets,/ Shapes of the two-threaded tracks of railroads,/ Shapes of the sleepers of bridges, vast frameworks, girders, arches,/ (…)”, il poeta canta la fatica della vita e le costruzioni dell’uomo, le forme che sorgono dal lavoro diuturno dell’artigiano e dell’operaio, dell’ingegnere e del contabile, chissà che cosa cercava mia figlia nei versi di Whitman, una nuova canzone?
…e poi un vecchio disco degli ’80, “Immensamente“, ritmico e quasi mantrico. L’immenso che è dentro di noi, silenzioso.
…e poi nello stesso cd…
“Gli altri siamo noi” (Umberto Tozzi)
Non sono stato mai più solo di così/ è notte ma vorrei che fosse presto lunedì/ con gli altri insieme a me/ per fare la città/ con gli altri chiusi in sè che si aprono al sole/ come fiori quando si svegliano,/ si rivestono,/ quando escono, partono, arrivano,/ ci somigliano angeli avvoltoi,/ come specchi gli occhi nei volti perché gli altri siamo noi./
I muri vanno giù al soffio di un’idea/ Allah come Gesù in chiesa o dentro una moschea/ e gli altri siamo noi ma qui sulla stessa via/ vigliaccamente eroi lasciamo indietro pezzi di altri noi/ che ci aspettano e si chiedono/ perché nascono e subito muoiono/ forse rondini foglie d’Africa/ ci sorridono in malinconia/ e tutti vittime e carnefici/ tanto prima o poi gli altri siamo noi./
Quando cantano, quando piangono/ gli altri siamo noi, siamo noi siamo noi./
In questo mondo gli altri siamo noi./ Gli altri siamo noi gli altri siamo noi/ gli altri siamo noi gli altri siamo noi./
Noi che stiamo in comodi deserti/ di appartamenti e di tranquillità/ lontani dagli altri, ma tanto prima o poi gli altri siamo noi./
In questo mondo piccolo oramai/ gli altri siamo noi, gli altri siamo noi/ gli altri siamo noi gli altri siamo noi gli altri siamo noi./
Sì, gli altri siamo noi/ fra gli Indios e gli Indù/ ragazzi in farmacie che ormai non ce la fanno più,/ famiglie di operai, i licenziati dai robot/ e zingari dell’est in riserve di periferia/ siamo tutti vittime e carnefici/ tanto prima o poi gli altri siamo noi./
L’Amazzonia il Sud Africa, gli altri siamo noi,/ siamo noi siamo noi quando sparano, quando sperano,/ gli altri siamo noi, siamo noi, siamo noi,/ gli altri siamo noi, gli altri siamo noi,/ in questo mondo gli altri siamo noi,/ in questo mondo piccolo oramai/ gli altri siamo noi,/ in questo mondo gli altri siamo noi…
Come è vero, che gli altri siamo noi.
Io come ombelico dell’universo e ciascun altro come ombelico dell’universo, un io-centrismo che nessun Copernico o Galileo riuscirà mai a superare. Ogni giorno che passa ci insegna che non è vero, che siamo contraddizione in termini, testimoni, eroi e superbi sacrificatori di noi stessi e degli altri… cercavo di dire ieri al telefono a una vecchia signora, quasi novantenne, militante di estrema sinistra.
Siamo qui nella nostra ossimorica grande miseria.
… ma se
Se tutte le ragazze/ le ragazze del mondo/ si dessero la mano/ si dessero la mano,/ allora ci sarebbe un girotondo/ intorno al mondo/ intorno al mondo./ E se tutti i ragazzi/ i ragazzi del mondo/ volessero una volta/ diventare marinai,/ allora si farebbe un grande ponte/ con tante barche/ intorno al mare./ E se tutta la gente/ si desse una mano,/ se il mondo finalmente/ si desse una mano,/ allora ci sarebbe un girotondo/ intorno al mondo,/ intorno al mondo./ (Sergio Endrigo e Paul Fort),
… allora mi consolo un po’ nel silenzio meridiano.
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