Dove finisce la mente…
…e comincia il resto del mondo?
Il bel titolo di un libro di Michele di Francesco e Giulia Piredda, pubblicato da Mondadori Università Milano (2013) mi incuriosisce.
Già Descartes riteneva che il punto di contatto tra res cogitans (cioè l’io e Dio), e la res extensa (cioè il mondo), fosse una ghiandola detta pineale posta nel lobo frontale. Ma il grande René usava il suo metodo intuitivo-deduttivo per una scienza certa ed evidente, con i mezzi del suo tempo. Già ebbe grandi meriti di rinnovamento del pensiero, non chiediamogli di più.
Pare che la complessa discussione tra i due estremi epistemologici, quello spiritualista e quello biologista si articoli sempre di più.
Oggi, non pochi sostengono che “l’inconscio cognitivo allestisce una complessa struttura di autoinganno, rappresentando erroneamente il soggetto come un’entità unitaria, libera, razionale (…)” (cf. in M. Marraffa e A. Paternoster, Sentirsi esistere: inconscio, coscienza, autocoscienza, Laterza, Roma-Bari, 2012).
Il soggetto, finora inteso libero agente responsabile, in questa prospettiva verrebbe assai meno. Ma ciò mette in questione tutta la storia dell’uomo. Se la biologia è più forte della psicologia dobbiamo ridefinire un po’ tutto l’impianto, compresa la filosofia morale e il diritto penale.
Quasi pre-destinato ad essere nell’esistere così com’è e non altrimenti. Il primo Agostino, ripreso alla lettera da Lutero, parlava con severo pessimismo dell’uomo peccatore, redimibile solo dalla Grazia sanante e santificante. Contro Pelagio, che sosteneva l’importanza delle opere, il “buon vescovo” tuonò non poco proponendo la fede e la grazia come vie di salvezza (cf. Lettera ai Romani di san Paolo).
Agostino non era un biologista, ma parmi ora quasi confondere le carte.
Se, come sostengono Marraffa e Paternoster “(…) L’autocoscienza retrospettiva è un’attività di riappropriazione narrativa, un’interpretazione autodifensiva del soggetto. (…) Ed è proprio in questo processo, teso ad evitare il dissolvimento del soggetto, che l’autocoscienza si costituisce come un baluardo difensivo della nostra individualità soggettiva. E tuttavia questo baluardo, essendo una forma di autoinganno, non può che essere costitutivamente fragile e precario. (…)”, preoccupa un poco.
Non credo però che queste tesi confutino le tesi sulla libertà di agire consapevole, e perciò responsabile del soggetto umano un po’ bugiardo e, nel contempo, un po’ sincero. Se fosse tutto vero allora non ci sarebbe alcuna colpa per il narcisismo egocentrico, e nessun merito per la compassione.
Ad futura.
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