La conversione di Spinoza e degli altri
“Che egli sia maledetto di giorno e maledetto di notte, maledetto quando si sdraia e maledetto quando si alza, maledetto quando esce e maledetto quando rientra (…). Nessuno comunichi con lui, neppure per iscritto, né gli accordi alcun favore, né stia con lui sotto lo stesso tetto, né si avvicini a lui a più di quattro cubiti; né legga alcun trattato composto o scritto da lui“.
Il 27 luglio 1656 furono pronunziate dal rabbino queste parole in ebraico nella sinagoga di Houtgracht a Amsterdam, di fronte a una folla di fedeli.
Baruch Spinoza aveva solo ventitré anni ed era considerato eretico e pericoloso dai suoi correligionari, perché aveva scritto e fatto “opinioni e azioni malvage“, di cui non sappiamo nulla.
A quel tempo egli doveva ancora scrivere il Tractatus theologicus-politicus e l’Ethica more geometrico demonstrata, eppure, era già così inviso alla sua stessa comunità.
Successivamente, quando ebbe pubblicato le sue due opere principali, le gerarchie religiose e le diverse magistrature olandesi lo condannarono scrivendo: “Un libro osceno e blasfemo, quale, a nostra conoscenza, il mondo non ha mai conosciuto” (1670). Nel 1674 i suoi scritti furono banditi dalla repubblica delle Sette Province Unite, e poi fu la Chiesa Cattolica a inserire gli scritti di Baruch l’ebreo nell’Indice dei libri proibiti.
Eppure Spinoza voleva solo dire che “forse che si spoglia di ogni religione colui che afferma doversi conoscere in Dio il sommo bene e doversi come tale amare con libero animo? E che in questo solo consiste la somma della nostra libertà e della nostra felicità?”
Il giovane Baruch voleva solo liberare da ogni schiavitù psicologica, politica e religiosa chi si mettesse in ascolto delle Scritture, ridando speranza all’uso della ragione, della libertà responsabile e del comportamento eticamente fondato, per poter godere di una ricompensa eterna dopo avere vissuto con rispetto di sé degli altri (vedi Steven Nadler, Un libro forgiato all’inferno. Lo scandaloso “Trattato” di Spinoza e la nascita della secolarizzazione, tr. di L. Giacone, Einaudi, Torino 2013).
Se dobbiamo chiedere a Spinoza di convertirsi dobbiamo prima chiederlo a tutti i peccatori di falsità, di opportunismo, di violenza, di mancanza di attenzione, di rispetto per gli altri. Dobbiamo chiederlo a ciascuno di noi, me per primo, perché non ci siamo “accorti”, perché non abbiamo pensato, perché non abbiamo sentito…
Ogni uomo è un insieme di vibrazioni inesplicabili, presupposti impliciti, pensieri passati, ipotesi e speranze, insuccessi e successi latenti (Raimon Panikkar); ogni essere umano è un itinerario che diviene senza requie fino alla fine, solo momento nel quale potremo essere comprehensores del tutto.
Noi siamo fino ad allora solo un’imperfetta parvenza, un fantasma che passa, arrivando, e poi scompare: ci siamo e non ci siamo, andiamo e restiamo, scegliamo e ci pentiamo, amiamo ed odiamo (cfr. Qoèlet 3) come Valerio Catullo.
Siamo attratti dall’infinito spaventandoci di quello che ci si para innanzi. “Eppure il cammino è sempre meglio delle soste“, come ricordava Ortega y Gasset.
E così, andiamo, homines viatores, adusi alla sorpresa e pieni di speranza.
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