La vita buona
La filosofa Judith Butler si chiede se sia possibile per l’uomo vivere una “vita buona” prescindendo da quella degli altri.
Quando leggo autori contemporanei, specie se di area americana o anglosassone mi sembra quasi di trovarmi di fronte a persone che non hanno mai letto i classici greci, né Agostino, né Tommaso d’Aquino, né Kant. Perfino Hume e Nietzsche mi sembrano loro ignoti.
Parafrasando l’Adorno di Minima Moralia Butler sostiene che è difficile immaginare di poter vivere una vita buona in presenza dell’ingiustizia sociale, ignorandola, occupandosi solo del proprio particulare. Lei insegna presso il Dipartimento di retorica e letterature comparate all’Università di Berkeley e presso la European Graduate School. Il libro da cui traggo queste considerazioni è A chi spetta una buona vita, curato da Nicola Perugini, edito da Nottetempo quest’anno.
Certo che non è possibile vivere una vita buona se io chiudo occhi, naso, orecchie e cuore alla vita sociale, certo che no.
Certo che la politica è la chiave di volta della buona vita, ma non basta. Non vi è solo una morale sociale, una morale comunitaria, ma vi è anche una morale della vita umana: esse sono intersecate, e ambedue dipendono dall’esercizio della ragione argomentante. Posso senz’altro dire che la mia è indissolubilmente correlata a quella degli altri, da chi mi sta più vicino fino a chi non conosco per nulla, come in cerchi concentrici sempre più larghi, simili a quelli che fa un sasso gettato nell’acqua.
Nei grandi classici greci, nel Buddha, in Lao Tzu, nel Vangelo di Gesù, nei pensatori cristiani e musulmani medievali, fino alle lezioni di Kant, Mounier, Maritain, Marcel, Florenskij, Buber, Lévinas, Nancy, Camus, Edith Stein, Jaspers, Wittgenstein, Ricoeur, Elizabeth Anscombe, Maria Zambrano, Martha Nussbaum e Pareyson (non cito altri altrettanto meritevoli) e a Cornelio Fabro, si ritrova un filo rosso che evidentemente (forse) Butler non riconosce, ma noi abbiamo ben presente.
La vita buona è in salita, incerta, piena di nebbie, di incroci e di ripensamenti. La vita buona è intrecciata, sciolta, apocalittica, dolorosa. La vita buona fa silenzio e sopporta la confusione, ma non sempre. La vita buona richiede il rispetto delle energie di ciascuno, richiede di intervenire quando c’è bisogno, finché c’è la forza.
La vita buona è un amare se stessi senza esagerazione. La vita buona è non decidere per gli altri, come i superbi che hanno scelto il terrorismo come via per la vita buona pensando di conoscerla, o coloro che soffocano gli altri pensando di amarli, perché amore è innanzitutto un guardare-l’altro-con-rispetto, e si declina negli infiniti modi dell’esperienza irripetibile di ciascuno di noi, senza modelli e manuali da seguire, avendo solo a cuore il bene dell’altro, qualsiasi sia.
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