Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

De Providentia et de Libertate

Si occupa di noi umani la pronoia o providentia?

Vi è qualche fatto consequenziale tra il male che viene fatto da qualcuno, ma proprio in conseguenza di tale male fatto proprio su lui stesso, vale a dire ci sono punizioni, in qualche modo, luogo e tempo, oltre a quelle che potrebbero applicare le leggi umane, in presenza di un reato di cui si sia accertata la responsabilità e la colpa?

Quare aliqua incommoda bonis viris accidant, cum providentia sit, cioè per quale ragione accadano delle disgrazie ai buoni, dal momento che vi è la provvidenza: questo il titolo del dialoghetto senecano che, more solito, si rivolge a Lucilio, proprio all’inizio a modo di introduzione (cf. Lucio A. Seneca, De Providentia, BUR Classici latini e greci, Milano 2010, p. 82).

Troviamo altrettanto nel testo dello stoico Crisippo, il Περιʹ Προνοίας (frr. 1168-1186 del II vol. degli Stoicorum Veterum Fragmenta di von Arnim): (…) talvolta cose avverse, dice, accadono ai buoni non per punizione, come ai cattivi, ma secondo un disegno generale (che non conosciamo, ndr). Un “disegno generale”? Quale? Di chi?

L’uomo ha sempre desiderato una “teodicea” una sorta di giustizia divina, che intervenga là dove l’uomo commette atti mali senza conseguenze immediate ed evidenti, oppure dove il male si configura come toglimento di un bene, senza ragione comprensibile. Oppure nel caso del male degli innocenti.

Agostino riporta l’attenzione sul male incomprensibile: “(…) placuit quippe divinae providentiae preparare in posterum bona iustis, quibus non fruentur iniusti, et mala impiis, quibus non excruciabantur boni, ista vero temporalia bona et mala utrisque voluit esse communia, cioè è ordinamento infatti della divina provvidenza preparare per il futuro ai giusti quei beni, di cui non godranno gli ingiusti, e ai malvagi quei mali di cui non saranno puniti i buoni; ma ha voluto che questi beni e mali siano comuni a entrambi” (ibidem, Agostino, De Civitate Dei 1, 8, 13-16, p. 62).

Molti altri pensatori antichi e moderni della scuola epicurea, cinica o scettica, come Epicuro, Lucrezio, Hume o Nietzsche non hanno quest’idea, che vorrei condividere sempre anch’io, anche se a volte ne dubito.

Si malum causa deficiens, non efficiens est, vel privatio boni, non subsistit sed simpliciter amissio boni nomen accipit , cioè se il male è causa non efficiente ma deficiente, oppure privazione di bene, non sussiste, ma assume semplicemente il nome di assenza di bene (parafraso un po’ Agostino imitandone il linguaggio).

Sembra dunque che il bene necessiti della presenza del male quasi per qualificarsi come bene. Una sorta di polarità dialettica che da Platone giunge fino a noi.

Anche Paolo nella Seconda ai Corinzi (6, 7-10) ne parla: “(…) per arma iustitiae dextra et sinistra, per gloriam et ignobilitatem, per infamiam et bonam famam: ut seductores et veraces, ut qui ignoramur et cognoscimur; quasi morientes et ecce vivimus, ut coerciti et non mortificati; ut tristes, semper autem gaudentes, sicut egeni multos autem ditantes, tamquam nihil habentes et omnia possidentes, cioè con le armi della giustizia a destra e a sinistra, nella gloria e nel disonore, nella cattiva e nella buona fama. Siamo ritenuti impostori eppure siamo veritieri, ignorati eppure siamo conosciuti; quasi moribondi ed ecco viviamo; repressi ma non messi a morte; afflitti ma sempre lieti; poveri ma facciamo ricchi molti; gente che non ha nulla e invece possediamo tutto” (ibidem, p. 63-64).

Aah che bello! E, cambiando lettura (cf. Adina L. Roskies, Don’t Panic: Self-Authorship Without Obscure Methaphysics, in Philosophical Perspectives, vol. 26, issue 1, pagg. 323-342, Dartmouth 2012), constato in questa prima domenica d’estate che…

è bello anche pensare che non siamo eterodiretti dalla genetica, se non nella misura della nostra struttura umana irriducibilmente unica nel qui e ora, nel tempo relativo e locale (Agostino e Einstein).

Non siamo diretti dagli eventi, se non come facenti parte del flusso della storia.

Non siamo irresponsabili, perché siamo autoconsapevoli.

In ogni caso e senso siamo causa sui, in quanto causa di ciò che facciamo da quando siamo autoconsapevoli. anche se certamente dentro il flusso degli eventi e delle indefinite concause, note, meno note e ignote (che chiamiamo caso).

Non abbiamo scuse, siamo responsabili.

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