“Afonia confusa d’occhio nemico che punta a due passi”
Caro lettore, e Signore che non stai impassibile, atarassico, nel tuo empireo, leggete tutti e due, se volete…
“(…) La cosa cade recisa dal tempo: così tutto accade. Ma inseparabile male è dal vischio del corpo la sofferenza precisa. Non arde, e calcina le gambe: non fonde ma cola alle braccia e demenza alla faccia rimane – infusa d’occhio nemico che punta a due passi.
In ogni varco di tenebra inganna la notte dentro un arco di spanna. Se fosser quattr’assi di bara! (…) Mùtila fossa – che se comunichi ai morti, senti in un glùtine scivolarti: aspetta; e se nei becchini risperi, pòsano i bicchieri e dànno mano al badile.
L’occhio non scorge la nuca – ma il becchino sì, la sua buca“.
Prosa lirica di Clemente Rebora, che canta la morte da una trincea della Prima Guerra
Mondiale (Clemente Rebora, in Tra Melma e Sangue. Lettere e poesie di guerra, a cura di V. Rossi, ed. Interlinea, Novara 2008, p. 78).
Riporto quasi con trucido sentimento a mia memoria, e a memoria di chi legge.
Anche oggi tuttora ognora sempre maledettamente vero questo incrocio di melma e di sangue di polvere e sudore di paura e vergogna di rabbia e sentimento di ragione e coraggio di perdita e conquista.
Anche ora in questo istante che scorre qualcuno tende l’agguato, in armi, oppure in cravatta, a un altro, che morrà o sarà perduto.
Anche qui e là cova un sentimento di male, un marcamento territoriale, uno spingersi oltre fino all’orlo del mondo.
Ma la speranza non muore,
lo sguardo amico persevera,
s’intravede il soccorso,
la vita respira.
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