Vanitas et Veritas
Per Agostino (cf. De Civitate Dei) il declino e la fine dell’Impero Romano non sono da ascrivere più di tanto alle cosiddette “invasioni barbariche”, che lui ben conobbe: morì infatti ad Ippona (l’attuale algerina Hannaba) nel 430 al tempo dell’assedio dei Vandali, ma a ragioni e cause più profonde.
La maggior causa di quel declino, per Agostino, è cognitiva e morale insieme, e viene da lui identificata quasi come una sostituzione della veritas con la vanitas: la vanità, che dà primato all’apparenza, al vidèri, si oppone radicalmente alla verità, che si fonda sull’essere, l’esse.
Il vescovo-teologo vede comunque una speranza anche in questo declino, in questo mondo “che va dissolvendosi e sprofonda” (“tabescenti ac labenti mundo“): molti al suo tempo si stanno accorgendo che “non plausu vanitatis, sed iudicio veritatis” (II, 18, 3), cioè non sul plauso della vanità, ma sul giudizio della verità” si fonda la possibilità di una rinascita.
Quanto è attuale questo ragionamento agostiniano, a distanza di milleseicento anni!
Se Agostino avesse conosciuto i “Maddoff” o i furbetti italioti, i virtuosi germani della Merkel, gli inglesi pieni d’albagia dei nostri giorni, gli sceicchi grondanti petrolio, i nani senza nome e senza volto che operano nelle borse e sui mercati finanziari del mondo, o gli ultimi imbroglioni del latte e del formaggio (ahimè) friulani, avrebbe potuto intravvedere in loro la personificazione della vanitas, della vanitas vanitatum (Qoèlet 1)
Anche oggi lo stesso vizio di allora: lo scambiare ciò che passa e va con ciò che re-sta, lo scorrere (non eracliteo) di fiumi di denaro virtuale, invece della costruzione di beni che hanno un valore aggiunto e distribuibile secondo equità e bisogno (principio di giustizia), la volatilità del virtuale con la solidità del reale. Ahinoi.
Agostino spiegava allora che il mero utilitarismo, figlio della confusione cognitiva e del disordine etico, stava portando alla rovina quel mondo: è altrettanto vero oggi.
La consapevolezza di ciò può rischiarare la mente dei decisori e di ciascuno di noi, come “orizzonte di senso e di speranza” (B. Forte 2012).
Post correlati
0 Comments