Relatio, Libertas, Veritas et Sensus
Se la comunicazione resta nel campo della tecnica del rapporto tra esseri umani, la relazione, invece, ne esprime tutto il potenziale esistentivo, ontico, di libertà: solo se mi re-laziono sono libero, nel senso che scelgo di guardare negli occhi l’altro ri-conoscendolo come un altro-io, come un soggetto che è pari a me, non come oggetto destinatario di una comunicazione.
La relazione è libertà perché mi esprime nel tratto della distanziazione e dell’avvicinamento, come in una dinamica respiratoria, essenziale, vitale!
“Libertà”, come concetto e valore, si declina in diversi modi.
I quattro principali sono:
-quello liberale (ad esempio, mutuato da J. Stuart Mill): esso sostiene che la libertà sussiste fino dove inizia la libertà altrui, non ponendosi altri limiti di sorta;
-la sua estremizzazione contemporanea del “fare ciò che si vuole”;
-quello illuministico-kantiano, basato sul dover-essere e sul dover-fare ciò che spetta nella condizione data;
-quello ispirato alla dottrina classica delle virtù, che si definisce come segue: “libertà è volere ciò che si fa” nella consapevolezza. Una libertà ispirata dalla ragione come “Recta ratio agibilium” (Tommaso d’Aquino).
Il padre Cornelio Fabro ha molto studiato il tema della libertà, e ha fondato questo studio su una critica serrata alla filosofia moderna e contemporanea derivante dal pensiero idealista, cioè dalla tesi secondo la quale essere e pensiero coincidano.
Secondo Hegel, in particolare, questo è il cominciamento e il fondamento di tutta la teoria della conoscenza, e allora anche la verità coincide con la certezza e la libertà con l’opinione soggettiva di ciascuno dentro il mondo. La verità perde allora ogni condizione di possibilità di valenza oggettiva.
Sappiamo invece che la certezza può essere solo una parvenza di verità: io posso essere certissimo di una cosa che alla verifica si rivelerà poi falsa! Quante volte accade.
Non con ciò si vuol significare che la verità è facilmente accessibile, tutt’altro! Basti pensare alla diuturna millenaria ricerca umana sulla natura delle cose e su di sé, sempre in evoluzione e indefinitamente aperta…
Però, se nella condizione umana si può dare la nozione di libertà, questa nozione non può essere staccata dalla realtà dell’essere, e quindi dalla verità delle cose, ma di converso si stacca costantemente dal “sensus communis”, come solito-modo-di pensare (Schelling).
Sopra dicevamo che, forse, libero è “chi vuole ciò che fa”, non “chi fa ciò che vuole”, perché in questo caso potrebbe non conoscere ciò-che-vuole, ma venire semplicemente influenzato e attratto da un “qualcosa” di immediatamente gradevole.
L’uomo è alla continua ricerca del senso delle cose e della propria vita, in un percorso che non conosce, in un tempo non pre-definito.
Il senso è forse l’elemento più importante per la costruzione di un progetto di vita, perché è la “direzione” da prendere, la ragione che supporta la scelta, la de-cisione che mantiene una rotta.
Il dialogo nella libertà ne è forse il percorso migliore:
Dialogo perché parola conflittuale condivisa, libertà perché condizione della scelta.
La libertà come luogo della scelta ragionevole, non può non avere speranza, così come la fede è “sustanza di cose sperate/ et argumento delle non parventi” (Paradiso, XXIV, 64).
Il padre Fabro (Riflessioni sulla libertà, Edivi, Segni, 2004, 83.126) ci ha insegnato a riprendere per mano un concetto di libertà non banale, scontato, mediatizzato, ma faticoso, meritevole di attenzione e di allenamento.
È sembrato voler dire che non basta il talento della libertà, ma occorre l’allenamento alla ricerca dell’essere, cioè della verità, e quindi della libertà, come dice Giovanni (8, 32):
“Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”.
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