La storia di Vero e di Falso
Mi ha sempre più interessato la dialettica tra Bello e Brutto, e tra Vero e Falso, piuttosto che quella tra Buono e Malo (non dico Cattivo, perché è sinonimo di “prigioniero” e mi interessa meno).
Mi pare infatti che l’Estetica, nel senso profondo del termine preceda tutti i criteri di giudizio della realtà: infatti, per conoscere, io vedo innanzitutto ciò-che-appare, e quindi l’àisthesis, l’estetica, appunto, che nulla ha a che fare con l’estetismo decadente dei nostri e di altri tempi.
Dopo aver visto ciò-che-appare, mi chiedo dunque se è Vero o Falso, perché i miei sensi potrebbero ingannarmi, come hanno insegnato gli scettici di tutti i tempi e perfino il mio grande Platone. “Mio” in senso affettivo. Vedo e constato se ciò-che-appare è un apparire dell’essere o un apparire del mero apparire. Non è uno gioco di parole, come vedremo.
Infine viene il giudizio morale, cioè il discernimento tra “buono” e “malo”. Non si dà, quindi, Sapere etico o morale, se prima non vi è coscienza e conoscenza, autoconsapevolezza e responsabilità.
Bene, dopo questa tirata teoretica, caro lettore, ti racconto una storia, quella di Vero e di Falso.
C’era una volta (e c’è ancora) un critico d’arte molto colto, un vero esperto di storia delle arti figurative, ma anche grande polemista: anzi, un vero specialista delle risse da video. Collerico, teatrale, a volte turpiloquo, esuberante, parolaio, intollerante, impaziente, imprevedibile, non nasconde mai, né dissimula i suoi stati d’animo, le sue avversioni, le sue antipatie, idiosincrasie, esprimendosi in modo colorito e spesso sopra le righe dell’educata decenza (leggendari i suoi insulti del tipo “capra, capra, capra… ad libitum). Secondo i canoni correnti, quest’uomo dovrebbe essere considerato moralmente “malo“.
C’era una volta (e c’è ancora) un uomo specializzato in solidarietà sociale, laico, ma anche presbitero (a suo dire, cioè questo e quello, ubiquo e bilocato come San Pio da Pietrelcina, ovvero con doppia essenza, metafisicamente facoltà reduplicativa dell’essere). Un uomo virtuosissimo, generoso, apertissimo, che va d’accordo con tutti, basta non siano liberisti, guerrafondai, custodi dello status quo, di potere, governativi, e tutto ciò che è gettato solitamente nella pattumiera di una sorta di “destra” indistinta, indistinguibile e confusa. Ebbene, questo signore che più politically correct di così non si può, esiste. Secondo i canoni correnti, evidentemente si tratta di un “buono“.
Ora, caro lettore, non ti chiedo di dirmi se sei d’accordo sulle qualifiche morali, ma se mi dai una tua opinione sulla plausibilità, sulla verità dei due, e soprattutto se “vero” corrisponda a “buono” e “falso” a “malo”. Vedo che sei un po’ imbarazzato, perché la corrispondenza sembra proprio contraria: in questo caso il vero corrisponde al malo e il falso al buono, e ciò per ragioni a te forse non note, ma a me e a molti sì.
Tutta colpa della falsa modestia del “buono”, inganno del peggior vizio virtuoso che si conosca.
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