Di un certo “autismo”
L’autismo, o Sindrome di Kanner, è ritenuto dagli studiosi un disturbo che interessa la funzione cerebrale; la persona affetta da autismo manifesta una spiccata riduzione delle possibilità di socializzazione e di comunicazione. Non si conoscono ancora le sue cause originanti.
Correntemente la definizione clinica più condivisa è Disturbi dello Spettro Autistico (DSA o, in inglese, ASD, Autistic Spectrum Disorders). Nel DSM-IV l’autismo rientra nella categoria clinica dei “Disturbi Pervasivi dello Sviluppo“, di cui fanno parte anche altre sindromi, come quella di Asperger, di Rett e il Disturbo disintegrativo dell’infanzia.
Non riprendo altro come descrizione scientifica, perché non è mia competenza. Ne parlo per il suo significato metaforico, e dunque realissimo, poetico, vitale, come si racconta in un bellissimo telefilm della serie “Senza Traccia” con Anthony La Paglia, là dove un bimbo fugge in una New Jork invernale e inaccogliente. E viene trovato dal fratellino e dal padre in un sottoscala, ferito, infreddolito e piangente.
Una certa dose di “autismo” è implicita quasi come opportunità in ognuno di noi. A volte, quando siamo particolarmente disturbati dalle connessioni infinite e continue, abbiamo bisogno di rifugiarci nella solitudine.
In certi luoghi irraggiungibili dello spazio o dello spirito. Necessità di un tempo diverso ci fa quasi desiderosi di chiudere le finestre della nostra anima. Mi sono trovato a volte nei silenzi di luoghi perduti remoti, dimenticato come un telefono finalmente inattivo. Autistico di fatto.
Come se la malattia fosse una specie di medicina, di uscita di sicurezza dalla follia della normalità. Come abbiamo scritto più indietro, la stupidità può convivere con l’intelligenza, e l’imperfezione è motivazione alla ricerca, anche la metafora di questo disturbo può aiutare.
Chi soffre del disturbo non lo può certo osservare, perché in esso è immerso; noi invece possiamo trasformarlo in traslato, accettandolo come una lezione dialettica, per non dimenticare come il benessere inconsapevole è meno di nulla, mentre anche la più umile, piccola gioia è un’apertura all’essere. Così possiamo accontentarci del nostro “autismo” consapevole, come rifugio, rallentamento, vacatio potestatis, reductio ad simplicitatem, mio caro viaggiatore…
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