I “bofonchianti”
Cari ragazzi e ragazze che passate di qui,
qualche anno fa un politico di vaglia era noto per il suo parlato bofonchiante, poco gradevole e poco comprensibile: Prodi, di carriera lunga e varia, accademica, di pubblico gestore (I.R.I.) e politica. Il suo dire era appannato da una pronunzia un po’ nasale e un po’ velata da corde vocali, diciamo, non da tenor leggiero.
I politici d’oggi, salvo qualche rara eccezione (Enrico Letta, Veltroni, D’Alema e, se si vuole, anche se un po’ scontatamente prevedibile, non solo nei contenuti , ma anche nei toni e timbri, Casini, e qualche altro, forse), parlano abbastanza male. Non si capiscono granché, perché pronunziano male e usano un lessico povero, spesso stereotipato. Pietoso come loquela è Renzi, pur se destinato ad ulteriori alte cariche (essere sindaco di Firenze a men di quarant’anni è assai poco per tal genio!), e non ho la forza di elencarne altri, per il momento.
Se devo far memoria di ben altre oratorie, debbo tornare a Benito, a De Gasperi, a Di Vittorio, a Nenni, a Giorgio Amendola, a Malagodi, ad Almirante (ebbene sì, e se fossi della sinistra stronza, direi “purtroppo”), a Bettino, a Luciano Lama e Pierre Carniti. Immagino che Lisia, Demostene, Marco Tullio e Agostino fossero buoni parlatori in pubblico. Che ne dite?
Chiari nei concetti, nitidi nella pronuncia, brillanti nell’eloquio diversamente fluente, anche se talora corrivi a un qualche cedimento ad enfasi retoriche tipiche del genere oratorio.
E voi come parlate cari ragazzi? Spesso male, malissimo. Vi ascolto (anzi di voi ho un amatissimo esemplare in famiglia) e a volte non vi capisco. Parlate come il web, con duecento parole criptate, parlate a volte con un filo di voce, a volte quasi senza voce o stridenti. E, ogni volta che fate un paragone, o volete dire qualcosa, dite “tipo“… Sapete che la parola tipo, in greco antico significa “calco“, e la tipologia era uno dei maggiori modelli esegetici, quello antiocheno, che non amava l’allegoria, né la metafora, perché preferiva la similitudine, ma senza la metafora lo spirto si spegne, cari ragazzi. E voi siete spiritosi?
A volte ho temuto che si trattasse di un’origine neurolinguistica, ma nel caso della mia carissima hija non lo può essere, per la sua provata eccellente pronuncia dell’inglese e del francese, e per la dizione nel canto.
Ma mi chiedo se nel tempo quest’incuria, questa sciatteria nel dire, non porti a una modifica strutturale. Anzi lo temo. A un “incidente congelato” (Boncinelli 2009), dove il linguaggio sviluppato in centomila anni si possa atrofizzare. Forse è un timore fuori luogo, una fobia, un terrore ancestrale che spaventa chi teme di non padroneggiare il senso. E poi il significato. Prigioniero di una semantica tornata elementare, belluina, da primati.
Cari ragazzi, smettetela con i borborigmi gutturali e riprendete a parlare. A parlare.
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