Fino alla fine del mondo
E’ il titolo di un bel film di Wim Wenders, ma soprattutto l’ultimo stico del Vangelo secondo Matteo (28, 17b-20 ):
Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano. E Gesù, avvicinatosi, disse loro: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
Fine del mondo era intesa un tempo come fine delle terre, il capo Finisterre (finis terrae) e Papa Bergoglio ha esordito dicendo “Siete venuti a prendermi alla fine del mondo“, perché l’Argentina è lontanissima, specie per gli emigranti del secolo passato che ivi si sono portati per sopravvivere. Come chi è arrivato arrancando nella pampa e, a un certo punto ha esclamato sospirando stanchissimo “Jesus Maria“, lì si è fermato e ha fondato una città con lo stesso nome.
Un altro senso dell’espressione è quello millenaristico, che intende significare la “fine del mondo come questo mondo“.
Nell’Apocalisse di Giovanni (capp. 21-22) si parla di “nuovi cieli e nuove terre“, di “altri mondi“, dove dimora Dio e non vi è peccato, malattia e morte. Un nuovo inizio dentro l’infinito inteso come interminabilis vitae tota simul et perfecta possessio, l’eternità.
Anche Alessandro il Macedone, a modo suo, è arrivato alla “fine del mondo” del suo tempo, in terre come la Oxiana e la Battriana, per poi morirvi rapidamente.
Francesco vescovo sorprende quasi ogni giorno che il Signore manda. Oggi dialoga con un vecchio giornalista (E. Scalfari), noto per la sua debordante autoreferenzialità (ricordiamo il libro autobiografico “Intervista con Io“!, dove la “D” mancante è un’ellissi di superbia o vanagloria).
E gli dice che Dio perdona chi “agisce secondo coscienza“, sia o non sia credente. E poi critica il cliché che molti maitres à penser, tra cui Scalfari si autoannovera da mezzo secolo, divulgano: che la credenza in Dio sia una specie di conoscenza fideistica dell’assoluto. Francesco dice che l’assoluto, l’ab–solutum da qualsiasi legame non c’entra con il Dio Signore di cui parliamo, perché il Dio Signore si rivela e si relaziona all’uomo tramite Cristo Gesù, Dio-che-si-fa-Relazione. Francesco non è “kantiano” nel senso teoretico del termine, anche se del rigore kantiano utilizza i tratti per dialogare con la coscienza individuale, unico parametro universale per tentare di separare il grano dal loglio, il bene dal male, e senza relativizzare ogni atto o scelta, perché la salvaguardia dell’uomo e del mondo è il fine ultimo terreno.
E dunque, la “fine del mondo” altro non è, sempre, che “la fine di un mondo“, apocalisse-rivelazione interiore di ciò-che-può-essere-il-mondo (mundus reconciliatus), se lo spirito umano si conforma progressivamente, faticosamente, lentamente, contraddittoriamente talora, pazientemente, alla sua propria coscienza di essere immagine del Bene.
Amen.
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