L’arroganza del sigaro
Abbiamo visto (qualche post fa) che, secondo Norberto Bobbio (cfr. L’elogio della mitezza, cit.) l’arroganza è il primo stadio moralmente negativo nell’ambito della qualità relazionale, che porta alla protervia e infine alla prepotenza.
Una domanda, caro lettore: se ti chiedessi che figura ti viene in mente connotata da tratti di arroganza, che cosa mi risponderesti? Penso che la tua risposta sarebbe da ricercarsi nello sterminato elenco di dittatori civili e militari, re crudeli e imperatori cialtroni, sultani sadici, potentati vari di tutte le epoche, di tutti gli ambienti (anche aziendali), e di tutte le nazioni. Nomi più o meno obbligatori: Hitler, Stalin, Pol Pot, Pinochet, Mussolini, Franco, Ceausescu, Caligola, l’imperatrice Irene di Bisanzio che fece cavare gli occhi al figlio Costantino, Teodora e Marozia contesse di Tuscolo, papa Alessandro VI Borja, forse anche Castro e Mao, e così via. E perfino Salah-el-Din, Gengis Khan e Timur Lenk, i quali però non c’entrano nulla con l’elenco, perché appartengono all’elenco che comprende Alessandro di Macedonia, Annibale, Cesare, Scipione l’Africano e Napoleone. E poi a seconda del tuo pensiero politico.
Sai invece chi viene in mente a me, dando per scontati i nomi di cui sopra e altre centinaia? Winston Churchill, sì il “grand’uomo” che prometteva ai suoi “sangue, sudore e lacrime“, e che chiamava l’Italia “ventre molle dell’Europa“, quello che era dell’idea di consegnare tranquillamente a Josip Broz tutto il Friuli fino al Tagliamento, quello che ha distrutto Dresda e consegnato a Stalin diecimila cosacchi da fucilare, salvo quelli annegati prima nella Drava. Non un dittatore, dunque, ma un premier espresso da una delle più antiche democrazie del mondo. Guerrafondaio e razzista, basta leggere quello che scriveva sui dervisci e sui boeri, nella sua beata gioventù di giornalista guerriero. I suoi compaesani erano adusi cambiare la toponomastica dei territori conquistati, e lui condivideva questa prassi, che potremmo grezzamente definire fascistoide (Mussolini aveva fatto altrettanto in Friuli e nella Venezia Giulia italianizzando i cognomi slavi).
Sì, poiché l’arroganza non è solo dotazione di dittatori più o meno sanguinari, ma è vizio comune a ogni latitudine e in ogni ambiente.
Qui mi soffermo su quest’uomo (che non mi è mai piaciuto), però, per un’altra ragione, molto meno nota delle citazioni precedenti.
Churchill aveva un disegno: constatato che il colonialismo classico era finito, restandone solo il simulacro con il Commowealth, egli aveva capito che la lingua inglese avrebbe potuto ottenere quello che non era più possibile ottenere con la forza delle armi, un’egemonia sul mondo. Il fatto è che il disegno sta riuscendo, con la collaborazione imbecille delle nazioni che si lasciano colonizzare in questo nuovo e più subdolo modo.
Faccio un esempio: “Made in Italy” può andare anche bene, ma il marchio Eataly (mangia-Italia), che è composto dal verbo to eat e dal suffisso “aly“, ha la stessa pronuncia di Italy e significa altro, in inglese. Che facciamo? Di questo passo l’Italia sarà solo un’espressione geografica, se non stiamo attenti. Per tacere dell’informatica e dei linguaggi aziendali. Sono esterrefatto che non ci si pensi, che non si discuta, che si accetti così senza colpo ferir ciò che è un declino della nostra tradizione, un’offesa alla nostra storia e cultura che è infinitamente, dico -infinitamente- più ricca di quella inglese o anglofona.
Rischiamo di essere non più nazione, popolo, cultura, ma sezione territoriale di un impero declinato in altro modo. L’Italia di Leonardo e di mille altri geni sublimi, che gli inglesi neanche si sognano!
Certo gli anticorpi a questo disegno ci sono: il nuovo controverso, ma invincibile, pluralismo planetario post ’89, la crescita di grandi “paesi” dove si parla hindi, cinese, portoghese, russo, spagnolo, arabo, farsi, e anche inglese per il business.
Come sempre, l’importante è la consapevolezza, perché nessuno può fermare i mega-trend in atto, ma si possono controllare, governare, indirizzare. Ecco, questa questione della lingua, dell’italiano e della sua difesa è strategica: stiamo dunque attenti ai voli pindarici di certe facoltà, soprattutto tecno-scientifiche, che stanno impostando un certo numero di corsi ed esami in inglese. Non condivido assolutamente, nonostante si spieghi che così si aiutano i giovani italiani a superare uno storico gap linguistico che li frena sul mercato della conoscenza e del lavoro nel mondo.
Anche qui: balle. Stiamo invece attenti a non consegnare per altre vie i nostri destini alle genie immarcescibili degli arroganti.
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