I “segni dei tempi”
quasi cinquant’anni fa, in chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II Papa Montini parlò di “segni dei tempi“, che erano visibili allo sguardo del discernimento spirituale. Citando un passo di Matteo (16,4) in cui Gesù stesso parla di “segni” Paolo VI segnalò l’esigenza di un’attenzione particolare al mondo, che fu sintetizzata nella Costituzione Gaudium et Spes. Il papa venuto “da un paese lontano“, l’uomo di Wadowice, proseguì: la sua Polonia aveva conosciuto l’illibertà sotto i regimi più crudi e disumani del ‘900. Francesco è “venuto dalla fine del mondo“, e ci parla con il linguaggio della profezia, cioè del detto-dinnanzi. Oggi siamo alla “fine di un mondo” e corriamo pericoli, il primo dei quali è di non lasciare un mondo.
Chi viene al mondo ci chiede silenziosamente, con il suo sguardo, lo stato del nostro “mandato sul mondo“. Sentinella, a che punto è la notte? (Isaia 21, 11). O non siamo noi i custodi del giorno e della notte a questo mondo?
Oggi è il tempo del coglimento. I segni sono apparsi alti nel cielo e per le strade della terra. Sono negli sguardi profondi dei bimbi e dei fuggiaschi, delle donne e dei vecchi. Sono ovunque, anche sui volti di chi fino a qualche tempo fa snobbava gli altri dall’altro della propria altezzosa sicumera. Il lavoro e il reddito sfuggono di mano. Chi apparteneva a una condizione sociale rischia di scivolare indietro, impreparato.
Oggi è il tempo del ripensamento. Il grido del mondo nasconde il dolore di dentro, inespresso perché inesprimibile. Occorre trovare nuove antiche parole, diventate inusuali, espressioni e sguardi dimenticati nel rutilante esplosivo darsi della crescita senza sviluppo, dell’uomo. Finita l’illusione. Se si vuole vi è un sentiero che porta su in alto, da dove si potrà vedere il mondo: il pensiero liberato dai paradigmi del successo che vuole evitare di considerarsi un participio passato, proponendosi sempre come scorciatoia, entimema presuntuoso e superbo.
Oggi è il tempo del coraggio. Virtù raffinata perché intrisa di pazienza e capace di sofferenza, sodale della sobrietà. Non si può accogliere l’angoscia del vivere (Kierkegaard) senza mettere in conto di doverla affrontare, e superare, ma senza stravincerla, accettandone la presenza come un basso continuo che ci cammina accanto. Estote parati, con la cinta ai fianchi e il bordone del viandante nella mano destra, raccomanda l’antica Sapienza dei padri.
Occorreranno poche vettovaglie per il viaggio, ma lo sguardo sui segni che vengono.
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