Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Di una pedagogia dei “due sguardi”

Stamani una persona mi ha chiesto la ragione per cui ho usato una certa espressione nel discorso fatto. “Era una metafora” ho risposto; e la persona “metà fora o metà dentro?” Mi stava per scappare una mala risposta, ma ho lasciato perdere, perché dobbiamo ammettere che possono esistere sempre due sguardi sulla vita, sul mondo, sulle parole che diciamo, due sguardi se si dialoga in due, e tanti sguardi quanti pensano e dicono cose.

Pluralismo ermeneutico, direbbe Pareyson, oppure idiozia pluralista potrebbe dire Crozza, quando non attoreggia.

Di fatto, però, qui mi interessa un altro argumento. Un tema che spendo con chi fungo un po’ da pedagogo, con chi più mi interessa.

I due sguardi sono entrambi importanti: uno dev’essere volto al quotidiano scorrere degli eventi che si vivono e degli atti soggettivi, e deve essere attento e pienamente consapevole dell’unica verità del tempo presente; l’altro dev’essere volto al progetto, e a tutti i passi da fare per raggiungerlo. Un progetto di vita, di lavoro, di studio, d’arte, d’amore: un qualcosa-che-è-gettato-davanti un tempo dato.

Il rischio è di avere un solo sguardo: se io ho solo lo sguardo sul presente, banale carpe diem non-oraziano, davanti a me trovo erto il muro dell’inconsapevolezza del domani; se invece ho solo lo sguardo sul progetto, rischio l’ansia da prestazione che mi tarpa il vivere e mi costringe alla rincorsa e all’affanno permanente.

Dunque: i due sguardi si completano, collaborano, convivono e condividono i passi, costruiscono il tempo e le cose dentro il tempo, che è tale perché ci sono eventi, fatti e atti che lo scandiscono. Il tempo relativo della vita, ché il tempo assoluto non esiste, amico Newton!

E dentro il tempo il mio agire, che a sua volta è fatto di due cose: la gerarchia dei beni e il bilancio energetico. Per vivere ho bisogno di decidere che cosa è importante, che cosa lo è di più e che cosa meno, perché non tutto si equivale. Prima la mia salute, ché senza quella nulla ho da dare a me e a chiunque altro; poi vengono le cose che mi fanno vivere dignitosamente, a partire dal lavoro, poi gli atti ludici: meglio se il lavoro è in sé di-vertimento, unificando i mondi interiori quotidiani. Il bilancio energetico è importante, perché ho dei limiti e quindi devo spendere le forze con giudizio.

Così dico alla Bea: se così è posso anche distrarmi e chiedermi oziosamente perché sto qui a pensare? Perché mi chiedo la ragione del mio esistere e del mio osservare il mondo che esiste anche senza di me, ma che, per-me, se non lo contemplo non esiste? (Aristotele vs. Hegel).

Perché mi chiedo la ragione di tutto ciò che c’è, invece del nulla?

Perché ho bisogno di credere, e credo, che tutta questa bellezza esiste perché Dio è buono. Non ho altre risposte.

 

 

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