Umberto Saba de Trieste
Ho parlato a una capra./ Era sola sul prato, era legata./ Sazia d’erba, bagnata/ dalla pioggia, belava./ Quell’uguale belato era fraterno/ al mio dolore. Ed io risposi, prima/ per celia, poi perché il dolore è eterno,/ ha una voce e non varia./ Questa voce sentiva/ gemere in una capra solitaria./ In una capra dal viso semita/ sentiva querelarsi ogni altro male,/ ogni altra vita.
(U. Saba, da Casa in campagna, 1909, Canzoniere, Einaudi, Torino 1978, 68)
Come ti sento, Umberto de Trieste,/ a me vicino in questo giorno d’autunno pieno./ Il viso semita è il tuo, è il mio,/ è quello di tutti che c’attorniano./ La capra belava come beliamo noi,/ quando abbiamo smaltito la sbornia di superbia/ dell’esser qualcuno,/ e invece siamo un soffio,/ vicini al nulla che torna sempre,/ perché altro non è che noi stessi,/ quando ci cogliamo come verità./ Che cambia al mondo se manchiamo,/ caro Umberto?/ Nient’altro che un belato,/ un sussurro debole,/ leggero come una foglia caduta sulla strada/ e sciolta nella pioggia.
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