Il maestro di felicità
Zenone di Cizio nasce a Cipro nel 334 a. C. e muore ad Atene nel 262. Diogene Laerzio riferisce che Zenone mentre tornava dalla Fenicia fece naufragio presso il Pireo, sbarcò e salì ad Atene. Lì si mise a sedere presso un libraio che stava leggendo i Memorabili II di Senofonte, e gli chiese dove fosse possibile trovare uomini del genere. Il libraio gli rispose indicandogli Cratete il cinico che passava di lì: “Eccone uno, seguilo“.
Zenone poi ebbe suoi discepoli che riuniva presso il Portico Dipinto (Stoà). Egli insegnava la misura della virtù, l’arte di accontentarsi e la felicità data dalla consapevolezza del limite di ciò che l’uomo può desiderare e avere. Per Zenone la felicità stava appunto nell’accettazione della propria condizione e nell’apprezzamento di tutte le cose della vita, anche quelle piccole, quotidiane, che invece sono grandi, perché uniche, se vissute con intensità e un darsi sapiente ragione.
La sua fama crebbe a tal punto, che il re macedone Antigono gli inviò un messaggio del seguente tenore: “Il re Antigono saluta il filosofo Zenone. Mentre mi considero al di sopra di te per fortuna e gloria, mi dichiaro inferiore a te per intelletto, per cultura, e per quella felicità perfetta che tu saldamente possiedi. Ho deciso perciò di invitarti presso di me, e son persuaso che non respingerai la mia preghiera. Procura di legarti strettamente a me, riflettendo che con questo non sarai educatore di me solo, ma, insieme con me, di tutti i Macedoni: è chiaro infatti che chi educa e guida alla virtù l’uomo che sta a capo di tutti i Macedoni educa anche i sudditi di questo a divenire uomini buoni, poiché, quale è il principe, tali con ogni probabilità saranno per lo più i sudditi“.
Ma il filosofo non fu totalmente d’accordo, perché rispose: “Zenone saluta il re Antigono. Apprezzo il tuo desiderio di sapere, giacché vedo che tu aspiri al possesso di una cultura vera e veramente utile, non di quella del volgo, che porta solo al pervertimento dei costumi. Chi aspira alla filosofia con tutte le forze dell’animo e aborre da quel tanto decantato piacere che snerva l’animo di certi giovani, chiaramente è portato a nobile sentire non solo per sua natura, ma anche per sua determinata elezione. Una nobile natura rafforzata dall’esercizio della moderazione e da un’istruzione aliena da malevolenze perviene facilmente al perfetto possesso della virtù. Ma, quanto a me, sono sofferente, e la mia infermità è aggravata dalla vecchiaia: ho infatti già ottant’anni. Per questo non posso venire a vivere presso di te. Ti mando però alcuni di quelli che mi sono compagni nell’esercizio della filosofia; essi non mi sono inferiori nell’esercizio della virtù, e mi sono superiori per vigore fisico. La consuetudine con loro ti permetterà di diventare il primo fra coloro che possiedono la felicità perfetta“.
E gli inviò Persèo e Filonide di Tebe, citati anche da Epicuro come uomini sapienti.
Atene ritenne Zenone talmente meritevole da onorarlo in vita e, in morte, da dedicargli un monumento funebre con le seguenti parole scritte in un apposito decreto: “Sotto l’arcontato di Arrenide, nella quinta pritania della tribù Acamantide, il giorno 11 del mese di maicmaterione (ottobre-novembre), ventitreesimo della pritania, in assemblea, il presidente Ippone di Cratistotele, del demo di Sipete, e i suoi colleghi di presidenza, misero ai voti il decreto, e su di esso parlò Trasone di Trasone, del demo di Anacea. Poiché Zenone di Cizio, figlio di Mnasea, per molti anni ha fatto professione di filosofia nella nostra città e la sua condotta è stata ottima sotto tutti i rispetti; poiché egli ha incitato alle azioni più nobili i giovani che si accostavano a lui, esortandoli alla virtù e alla saggezza, e a tutti offrendo in esempio la sua stessa vita, condotta in assoluta coerenza con la filosofia che egli professava; il popolo ha decretato -con buona fortuna- di tributare lode a Zenone di Cizio figlio di Mnasea, di incoronarlo con le corone d’oro, e di costruirgli a spese pubbliche una tomba nel Ceramico. Il popolo decide anche di eleggere subito cinque uomini che si occupino della preparazione della corona e della costruzione della tomba e lo scrivano dell’assemblea scriverà il decreto su due stele, che sarà permesso esporre l’una nell’Accademia e l’altra nel Liceo. La spesa per le stele sarà suddivisa ad opera del magistrato che presiede all’amministrazione, sì che tutti vedano come il popolo di Atene rende onore a tutti buoni, sia vivi che morti”.
Furono dunque eletti Trasone di Anacea, Filocle del Pireo, Fedro di Anaflisto, Medone di Acarne, Micito di Sipaletto e Dione di Peania. (Zenone, Maestro di felicità, Utet-Il Sole 24Ore, Milano 2013, pp. 14-15).
La voce di Zenone, insieme con quella dei sapienti di ogni tempo vive silenziosamente nei dialoghi estranei ad ogni medium, nei convivi, nelle cene, nei cafè filò, nelle riflessioni di insegnanti e studenti, di genitori e figli, di datori di lavoro e lavoratori, di preti e di agnostici, ovunque vi è la pazienza della ricerca di quei filamenti luminosi di verità, che si nascondono agli impazienti e si svelano ai viandanti della sapienza, che è nell’umiltà e nel silenzio.
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