Il “vizio assurdo”
…per me non è quello raccontato da Davide Lajolo come biografia di Pavese, ma un altro: è l’odierna ricerca affannosa della felicità.
Felicitas, è latino derivante dal sanscrito “fe“, radice del concetto di fecondità. Quest’ultimo termine può esser sinonimo di felicità nell’accezione oggi corrente? Quesito retorico: NO!
Oggi spesso la “felicità” spasmodicamente cercata è uno stato di quasi perenne beatitudine, di gioia perfetta e continua, di assenza di ogni assillo e affanno esistenziale, di esaudimento di ogni desiderio, quasi in un’ansia fanciullesca di possedere ogni nuovo “giocattolo“, inerte o vivente, che piaccia: altrimenti non è felicità. Assurdo e pericoloso, e talvolta fomite di capricci e violenza.
La penultima scena de I ragazzi della via Pàl è tristissima, Nemecseck che muore dopo aver combattuto con i suoi compagni, felici di aver riconquistato il terreno di gioco. Janos Boka guarda lontano con lo sguardo perso nelle brume del Danubio, per cercare una ragione nella battaglia e nella morte del piccolo amico. Quale la loro ricerca della felicità?
Tre ragazzi seduti fuori di un bar del mio paesone sono impegnati silenziosamente ciascuno con il proprio cellulare, li guardo, non mi vedono, me ne vado. Ricerca della felicità?
Mandy Rose, sociologa e antropologa della West England University sta pilotando una ricerca internazionale sulla nozione di felicità, ma non sul concetto filosofico e psicologico, bensì sul sentimento, sul comune sentire di ciò che sia “felicità“. Come 50 anni fa altrettanto fece Edgar Morin. I primi risultati della ricerca di Mandy Rose, a distanza di mezzo secolo, sembrano confermare quelli precedenti. Due esempi di segno opposto: a) una contadina analfabeta peruviana, povera della sua povertà, dice di essere felice, perché non ha bisogno di niente, vive all’aria aperta con la sua famiglia e suoi animali, con le cime andine sullo sfondo; b) una bella donna indiana della upper class dice di sentirsi annoiata e infelice parlando dall’enorme patio della sua enorme villa. E allora?
“Felicità, è è è (non so cosa, ma non è importante)…” sussurrava quarant’anni fa Romina Power col suo tenorino.
I lobi prefrontali che sovrintendono all’uso della ragione finiscono di svilupparsi verso i 22 anni. I tre giovani di cui sopra avevano meno anni. Hope.
Non quindi mera ricerca della felicità, se non intesa come equilibrio interiore in grado di farci considerare la virtù di sobrietà come modalità mentale e morale di cui essere contenti, e fortificati al punto da poter e saper affrontare le traversie e avversità, cioè i limiti, che non mancano in ogni esperienza individuale. Basta e avanza.
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