Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

La leggenda del vento

la leggenda del vento

Silenzii domenicali conciliano letture e leggende. Come quella dello starkblast, il vento freddissimo che fa esplodere gli alberi di legno ferro della contrada di Tree, lontano, in un grande nord boscoso, verde cupo. Ai margini della Foresta Infinita dove si è spinto il piccolo Tim, che dorme sotto il magico lenzuolo del mago, insieme con una tigre ammansita.

“(…) A un certo punto abbassò l’orlo abbastanza da vedere un miliardo di stelle tempestare la cupola del cielo, più di quanto ne avesse viste in vita sua. Era come se la tempesta avesse aperto minuscoli fori nel mondo sopra il mondo trasformandolo in un setaccio. Attraverso quei fori brillava tutto il fulgido mistero della creazione. Forse non era uno spettacolo destinato a occhi umani, ma Tim si sentiva sicuro di aver ricevuto una speciale delega per poter guardare, perché si trovava sotto una coperta di magia e giaceva accanto a una creatura che avrebbero archiviato come mitica persino gli abitanti più  creduloni di Tree.

Provò soggezione alla vista di quelle stelle, ma anche un appagamento profondo e duraturo, la serenità che aveva sentito da bambino quando si svegliava di notte al sicuro e al caldo sotto la trapunta, oscillando tra sonno e veglia mentre ascoltava il vento cantare la sua malinconica canzone su altri luoghi e altre vite.

Il tempo è come una serratura, pensò mentre contemplava le stelle. Sì, credo proprio di sì. Ogni tanto noi ci chiniamo e sbirciamo attraverso il buco. E quando lo facciamo, il vento che sentiamo sulle guance, il vento che soffia attraverso la toppa, è il respiro di tutto l’universo vivente.

Il vento tuonò nel cielo vuoto, il freddo si intensificò, ma Tim Ross era al sicuro al caldo, con una tygre che gli dormiva accanto. A un certo punto scivolò via lui stesso in un riposo che era profondo e soddisfacente e libero da sogni. Mentre andava si sentì piccolissimo, in volo sull’ala del vento che soffiava attraverso il buco della chiave del tempo. Lontano dal ciglio del Great Canyon, sopra la Foresta Infinita e la Fagonard, sopra l’Ironwood Trail, oltre Tree, che da dove passava lui a cavallo del vento altro non era che un coraggioso piccolo grappolo di luci, e più lontano ancora, via, via, oh, molto più lontano, attraverso l’intero arco del Medio-Mondo fino a dove un’incommensurabile Torre di ebano si ergeva fino a scomparire nel cielo.

E’ là che andrò! Un giorno ci andrò!

Fu il suo ultimo pensiero prima che lo prendesse il sonno. (Da La leggenda del vento di Stephen King, ed. Sperling&Kupfer, 2012, pp.297-298).

Anch’io, come Tim mi ricordo bambino e la mamma veniva a portarmi il brodo quando ero malato, la sentivo aprire la porta della zona notte, che nella nostra vecchia casa era staccata dalle stanze del giorno, bisognava attraversare un portone per venire nelle camere. Allora nel dormiveglia la sentivo salire le scale, entrare sommessa nella mia stanza con le finestre socchiuse. Non so che stagione fosse, da piccolo mi ammalavo spesso, mi venivano febbri alte, a volte deliravo, ricordo di avere mandato via suor Vincenzina che era venuta a farmi un’iniezione. A volte vedevo filtrare il sole del tramonto, e anche tutto il pulviscolo che trasluceva tra le imposte che davano a occidente, verso la grande campagna. Mi piaceva il brodo di gallina, odiavo gli sciroppi che dovevo prendere. Mio papà era via lontano, in mezzo a una grande foresta in Germania, e sarebbe tornato dopo molti mesi, quasi in inverno, per ripartire prima che iniziasse primavera.

E pregustavo il suo ritorno, le cioccolate di fondente nero, durissime che si scioglievano in bocca, i suoi racconti di guerra, le filastrocche sui fiumi di tutto il mondo e le montagne più alte. E poi, guarito, ricordo i miei risvegli mattutini, alle sei, per andare a servire messa prima della scuola. Ma ero contento, non mi faceva paura il freddo vento che tirava in strada, il buio di una notte che tardava a cedere all’aurora.

A casa c’era anche mio padre, e mia mamma, silenziosi. Ancora giovani, a quel tempo.

Ricordo.

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