L’orologio rotto
Non so se sia un aforisma di Hesse o di qualcun altro, ma mi piace: “Anche un orologio rotto è esatto due volte al giorno“. A me dice moltissimo, ad esempio che non occorre il fanatismo funzionalista o la mania della perfezione per trovare una buona strada a questo mondo, e che si può accettare tranquillamente anche l’imperfezione e il limite, senza abbattersi o perdere un’equilibrata autostima.
Ognuno di noi, prima o poi, diventa un orologio rotto, che non sempre si può aggiustare. E resta in parte anche operante, magari ottimizzando le energie e le funzioni che gli restano, come fa in natura l’asimmetria sapiente dei due lobi cerebrali, ciascun dei due preposto a diverse funzioni in ambito neurovegetativo e mentale.
Come diceva Sartre, condannati a essere liberi, ci barcameniamo inquieti e imperfetti alla ricerca del “mandante” dei nostri atti, quando non ci piacciono, ma sempre a posteriori. Non c’è scampo: qualsiasi sia il nostro stato biomeccanico e mentale, qualsiasi sia la nostra consapevolezza spirituale, siamo in campo. Una volta nati, siamo qui a costruire la nostra propria storia (H. Arendt), innestati nel mondo (F. Nietzsche) edifichiamo la nostra struttura di ànthropoi.
Nessuno ci segna il cammino, anche se la genetica e gli intrecci causali ci portano da qualche parte, più o meno eretti a guardare l’orizzonte (il maschio) o chini sull’infante venuto al mondo, inerme (la femmina). Il resto non lo sappiamo… prima.
L’altro giorno mi è caduto a terra il computer portatile e si è rotta una cerniera, ma me lo aggiusteranno. Intanto funziona così. Quando l’ho visto a terra semisfracellato, mi sono sentito quasi in deliquio. Ecco come siamo, non poco dipendenti dalle macchine (G. Anders), siamo dei soggetti che si affidano a meccanismi esterni, scriviamo, comunichiamo con qualcosa che si può rompere in qualsiasi momento. E abbiamo bisogno di altri che ce li aggiustino.
Una penna, un foglio bianco, un libro, un sedile nell’erba, questo desidero, anche come orologio un poco rotto.
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